La ragazza parlava un italiano particolare. Non so il motivo per cui mi trovavo su quella poltrona nell’atrio di un albergo. C’erano gruppi di persone che parlavano tra di loro, alcuni con la receptionist. Facevano rumore. Io sedevo sulla poltrona in silenzio, come in attesa. La ragazza (che dalla divisa si deduceva lavorasse nell’albergo) mi si avvicinò dicendo qualcosa.
“Come scusi?” “Mi piaci.” Poi è scomparsa, voltandosi per sorridermi. Rimasi un po’ stranito e un po’ divertito, seduto. Uno di questi gruppetti nel frattempo si era avvicinato alle mie spalle e, parlando tra sé, sebbene fosse nelle loro intenzioni farsi origliare da me, commentavano l’aspetto fisico della ragazza, discutendone la provenienza come se, inspiegabilmente, volessero fornirmi di alcune informazioni nei suoi riguardi. “Senza divisa è molto bella.” ha detto uno. “Ha un bellissimo corpo.” “Da dove viene?, Dall’Ucraina?”, “O dalla Bielorussia?” Comunque era bionda, di un biondo sottile, occhi sorridenti e chiari, pelle pallida ma chiazzata di rossastro, soprattutto sulle guance, e con due labbra rosse come se un pittore le avesse appena tinte senza preoccuparsi, per il momento, di mitigarne l’intensità del colore. I due incisivi centrali erano separati l’uno dall’altro da uno spazio vuoto di mezzo centimetro; ciò dava al suo sorriso un senso di transito d’aria. Mi sono voltato a guardare il gruppetto dietro di me, i cui membri mi hanno sorriso continuando indisturbati a commentare la ragazza che evidentemente era loro conoscente, se non amica. Allora lei è ripassata davanti alla mia poltrona, guardandomi con intensità: “Ma cosa ci fai qui?” Non ha aspettato una mia risposta per sparire, mentre con la coda dell’occhio notavo che quelle persone alle mie spalle cercavano di afferrarla per scherzare e forse incoraggiarla a parlarmi. Non sapevo cosa ci facevo su quella poltrona nell’atrio di un albergo, mi pareva di essermici svegliato come da un sogno, oppure in un sogno. Eppure la ragazza mi interessava, sempre di più. Mi sono guardato attorno cercandola. “Tra poco stacca.” mi ha detto uno dei ragazzi del gruppo. “Come?” “Tania, tra poco finisce di lavorare.” “Ah, bene.” Mi sono voltato, allora una mano si è posata sulla poltrona sfiorandomi il braccio e una faccia è sbucata dalla mia destra: “Tu le piaci molto, sei fortunato. Sceglie lei, capisci? E ha scelto te! Non sai quanto sei fortunato…” L’unica cosa che mi sono sentito in grado di rispondere è stato: “Grazie”. Un momento dopo Tania è riapparsa, questa volta fermandomisi davanti. “Allora?”, ha detto, “Come stai?” Me lo chiedeva con la naturalezza di chi si conosce da molto tempo, e per un attimo ho considerato se non ci conoscessimo già, ma non l’avevo mai vista prima; eppure sembrava che mi trovassi dov’ero proprio per lei. “Bene.” ho risposto. “Devo solo cambiarmi”, ha detto avvicinandomisi, “e ho finito, ma non preoccuparti, ho una stanza.” “Una stanza?” “La nostra stanza.” Sentivo che dietro di noi le persone stavano ascoltando con interesse. Tania era talmente vicino da essermi ad un palmo dal viso: sentivo il profumo dei suoi capelli. Sarebbe stato così naturale, consecutivo, toccarla. “Va bene?”, ha chiesto guardandomi con aspettativa. “Credo di sì.” “Vieni con me allora, devo cambiarmi.” E prendendomi delicatamente la mano mi invitava ad alzarmi per seguirla. Mentre le osservavo la schiena lasciandomi dolcemente condurre, mi sono voltato verso la poltrona che avevo lasciata vuota e dietro di questa il gruppo di persone che mi osservavano immobili, come statue. Non so perché ma ebbi l’istinto di alzare una mano di saluto nella loro direzione. Nessuno rispose al mio gesto. “Lasciali stare”, disse Tania. “Ma chi sono?” Attraverso un corridoio abbiamo raggiunto una piccola porta. Tania ha estratto delle chiavi dalla tasca della giacca (indossava una gonna e delle calze eleganti) e ravviandosi una ciocca di capelli che si erano liberati dall’elastico per scivolarle in viso, ha cercato la chiave giusta nel mazzo. La chiave venne inserita nella serratura e la porta si aprì. La stanza era quanto di più inaspettato ci si potesse aspettare: due pareti erano normali muri di calce, mentre dalle altre due era stata ricavata una parete curvata in vetro-mattone chiaro. La stanza era vuota, fatta eccezione di uno specchio su una delle due pareti e una scrivania sottostante, sulla quale Tania affidò i suoi orecchini e l’elastico per capelli. Alla sinistra della scrivania una porticina portava al bagno e nel centro della stanza c’era un letto a forma di trapezio. Non avevo mai visto un letto così. Come se non bastasse l’eccentricità delle forme, le coperte e le fodere dei cuscini splendevano come brillantini, di un materiale particolare, come se si trattasse di squame di pesce o serpente: pelle di sirena. Tania mi ha sorriso dallo specchio mentre accarezzavo la coperta e andando in bagno si è chiusa la porta alle spalle. Sono andato verso la vetrata accarezzandone i vetro-mattoni, cercando di vedere oltre… Senza farsi attendere Tania è uscita dal bagno indossando un accappatoio. Ha attraversato la stanza fino a raggiungermi e prendendomi per mano mi ha portato nel letto. “Le scarpe.” ha detto sbadigliando. Mi tolsi le scarpe. “E i pantaloni… devo forse spogliarti io?” Mi tolsi ogni cosa eccetto le mutande. Parve bastarle per il momento. Ci siamo sdraiati sotto le coperte e ci siamo abbracciati. Quasi immediatamente Tania si è addormentata, ed io sono rimasto a lungo a guardarla sognare. Quando mi sono svegliato Tania dormiva ancora. Cercai di sottrarre il mio braccio alla sua presa senza svegliarla, ma lei mi strinse a sé come se la stessi privando di qualcosa di vitale. Restai immobile per molto tempo, osservando il soffitto e ascoltandola debolmente sospirare. Sul soffitto mi pareva di vedere delle onde che si frantumavano sugli scogli. Forse un’allucinazione, da cui mi sono lasciato intrattenere finché è durata. Infine Tania si svegliò. Mentre stiracchiava il suo corpo l’accappatoio le si allentò e da questo uscì un bellissimo seno bianco. Aprì i suoi occhi su di me e sorrise. “Come sei bello”, disse accarezzandomi. “Sto sognando forse?” “Ma se ci siamo appena svegliati!”, rise. Improvvisamente si incupì. “Sentimi il cuore!”, si agitò posando la mia mano sul suo petto: il cuore le batteva forte. “Batte.” “Batte forte.” “Perché?” “Succede.” Mise la sua mano preoccupata sul mio petto, come in cerca di simmetria, “Il tuo no?”. Restammo un momento in ascolto. “Anche il tuo batte forte”, decretò infine. Tentai di sorridere. “Mi ami?” chiese. “Ma non ti conosco.” “Certo che mi conosci”, disse, “sono Tania.” “E tu mi ami?”, domandai. “Certo che ti amo.” Tania si tolse l’accappatoio. Aveva proprio un bel corpo, come avevano detto quelle persone nell’atrio dell’albergo. “Ti piaccio?”, ha chiesto. “Molto.” Ci baciammo. Quando poi mi sono svegliato ero solo. Ho chiamato il suo nome. Sul letto c’era il suo accappatoio stropicciato, le mie mutande erano assieme al resto dei miei vestiti sparsi sul pavimento. l’ho cercata nel bagno, ma non c’era. Mi sono seduto sul letto a meditare, osservando la luce che entrava dai vetri-mattoni. Quando sono uscito dalla stanza, per il corridoio, fin nell’atrio dell’albergo: non c’era più nessuno. Mi avvicinai alla Reception cercando qualcuno a cui chiedere… ma ero solo. Aspettai. Aspettai ancora. Non saprei dire quanto tempo è passato da quell’evento. Dopo aver lasciato l’albergo quella mattina pensai di tornarci più tardi o il giorno dopo, ma non sono più stato capace di trovarlo. Era come se fosse scomparso nel nulla. Camminavo per le strade affollate quando improvvisamente mi sono fermato ad osservare una figura alla finestra di un grande palazzo. Era una ragazza dai capelli corti e scuri. Se ne stava affacciata alla finestra e guardava la strada. Credetti di conoscerla: ed infatti era così! Entrai immediatamente nel palazzo col batticuore e nell’ascensore improvvisai il piano che mi sembrava potesse corrispondere all’altezza della finestra. Nel corridoio bussai a diverse porte, finché non fu lei ad aprirmi. Eravamo entrambi molto sorpresi di trovarci l’uno di fronte all’altro. Com’era cambiata! Si era tagliata e tinta i capelli… ma quel suo sguardo, quei suoi occhi… li avrei riconosciuti su qualsiasi volto. “Cosa ci fai qui?”, domandò. “Io… ti ho vista dalla finestra.” Petra non ha detto niente, si è limitata a continuare a guardarmi stupita. Incominciavo a sentirmi in imbarazzo quando finalmente mi chiese di entrare. “Vuoi un caffè?” “Va bene.” L’ho seguita in cucina. Per un po’ ha armeggiato negli scaffali in cerca di qualcosa. Com’era cambiata… Era piena di tatuaggi ora. Non che non ne avesse anche prima ma… non così tanti. Li si vedevano perché indossava sia la maglietta che i pantaloncini corti. Su ogni cosa pareva avesse sentito il bisogno di dare un taglio. “Così questa è casa tua?” “Sono in affitto.” “È un appartamento molto carino.” “Mi ci sono trasferita neanche un mese fa… io”, si mise le mani tra i capelli, “È assurdo che tu sia qua.” “E la vecchia casa?” “L’ho venduta, era troppo grande per me sola.” “Capisco.” Guardandomi attorno trovai la casa pulita, moderna, piacevole. Poi notai un dipinto. Mi ci avvicinai e lo guardai intensamente. Vi era raffigurata un’esile fanciulla pallida come uno spettro che fluttuava attraverso gli edifici, mentre una falce di luna pareva dirigere il suo viaggio. Conoscevo bene quel dipinto, era appeso nella nostra camera da letto. “Me lo ricordo questo”, dissi. “Già…”, venne verso di me, “Ne ho fatti altri.” “Vedo…” dissi guardando i molti dipinti affissi ai muri e gli altri appoggiati alla parete sul pavimento. Il soggetto era sempre lo stesso: una figura fantastica a metà tra una ragazza e uno spettro. Lo stile invece sempre diverso: aveva studiato all’Accademia di belle arti d’altronde, sapeva quel che faceva e come. La caffettiera si fece sentire e Petra andò a spegnere la fiamma del fornello. Versò il caffè in due tazzine e andò a sedersi a un tavolino. La raggiunsi sedendomi davanti a lei. Petra si accese una sigaretta. “Fumi ancora?” “No.” risposi. Il posacenere mi fissava come un occhio dal centro del tavolino. Petra si avvicinò alle labbra la tazzina e bevve un sorso di caffè. “Beh?”, disse, con una macchia di caffè sul labbro inferiore, “di cosa ti occupi adesso?” “Io veramente… Ti stupiresti se ti dicessi che non lo so?” “Non sai cosa fai?” “Ecco”, cercai le parole giuste, “non è che non me lo ricordi, ma è come se ciò che ricordo non fosse esattamente reale.” “Che vuoi dire?” “So cosa faccio ma…”, esitai, “Mi rendo conto che suona molto strano, ma insomma… è come se non riconoscessi ciò che faccio.” “Non ti seguo proprio.” “Credo di aver avuto un incidente.” “Un incidente?” “Sì.” “E quando è successo?” Allargai le braccia in segno di incertezza. “Non sai quando ti è successo?” “Non ne sono sicuro.”, dissi, allentandomi la cravatta al collo, “Non sono sicuro di ricordare correttamente”, mi alzai per avvicinarmi alla finestra dalla quale l’avevo vista in strada, “credo sia successo un mese fa.” “E come ti senti?” Mi voltai verso di lei, sembrava preoccupata. “Confuso.” Guardai ancora dalla finestra. La luce era forte. “Un giorno mi sono trovato sulla poltrona dell’atrio di un albergo, non sapendo né come ci sono finito né cosa ci facevo.” Petra mi ascoltava con attenzione. “Era come un sogno… Ero lì per una donna.”, mi sedetti vicino a lei, “mi sento stupido a raccontarti queste cose…” “Che ti sta succedendo?” “Io… Io credevo che fossi tu.” “Io?” “Tu sì… Sebbene non le somigliassi affatto, comunque per un momento ho creduto che fossi tu.” “Non capisco…” “Hai ragione scusami.” “Tu ti presenti qua dopo tutto questo tempo e…”, le scivolò una lacrima, “Che stai cercando di fare?” Mi avvicinai a lei e cercai di prenderle la mano. “No io…” Lei si scansò. “Petra… io non sto cercando di fare niente… è che…” “Cosa sono queste storie? Non sai cosa stai facendo, non credi di ricordare quello che ti ricordi, ti ritrovi nell’atrio di un albergo e stavi con una donna che ti ricordava di me, cosa stai dicendo?” “Hai ragione, lo so che sembra assurdo.” “È così! Sembra fottutamente assurdo! Quindi per favore se questo è uno scherzo smettila perché mi stai spaventando.” “Petra io…”, la guardai allontanarsi da me, “mi dispiace.” Petra si asciugò le lacrime. “E mi dispiace anche per noi…” Petra distolse il suo sguardo dal mio. Fissò il vuoto per un po’, poi guardò la parete dov’erano i suoi quadri. “Perché è finita tra noi?”, allungai la mia mano e la posai sulla sua. “Ma che cazzo stai dicendo?”, ritirò la sua mano dalla mia, “Ci siamo lasciati perché ti scopavi quella bionda, Tania come si chiamava, non ti ricordi più neanche questo?”, Petra si alzò, “Forse è meglio che tu vada adesso.” “No io… Non può essere…” “Per favore esci da casa mia.” Il mio sguardo passò rapidamente da un oggetto all’altro della casa: il tavolino, la sedia, il posacenere, i quadri alle pareti: ciascuna figura sembrava mi stesse fissando, e io passai da un’espressione all’altra finché non mi fermai su quella di Petra. “Mi dispiace”, dissi alzandomi, “devi credermi, mi dispiace.” Petra mi accompagnò alla porta. Nel corridoio rimasi un attimo davanti alla sua porta, per riordinare le idee. La mia mano stava tremando e quasi fui spinto a bussare, ma mi trattenni. Infine risalii il corridoio fino all’ascensore. Mi tolsi la cravatta e mi ci asciugai la fronte sudata. Piansi. Poi gridai. Diedi un calcio alla parete macchiandola della suola della scarpa. Cercai di controllarmi. Attorcigliai la cravatta in se stessa e me la infilai nella tasca della giacca. Allora sentii qualcosa di strano sul fondo della tasca. Estrassi la mano dalla tasca e vidi che le mie dite erano ricoperte di brillantini. Estrassi la cravatta e continuai a frugare nella tasca: era piena di brillantini!, che a guardarli meglio, erano come squame di pesce… squame di serpente… pelle di sirena… Allora l’ascensore si aprì e mi trovai davanti Tania. “Buongiorno”, disse come se non mi avesse mai visto prima, e camminando fuori dall’ascensore per il corridoio andò dritta verso la porta di Petra. Tommaso Dati
Scrivono in PASSPARnous:
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Nicola Candreva, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Maurizio Oliviero, Francis kay, Bruna Monaco, Laureano Lopez Martinez, Francesco Panizzo. |
Tra molti fiori selvaggi
e pochi fiori rari. Intorno a Prose critiche di Giorgio Caproni di Viviana Vacca Anoressia
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Saggio breve di Daniele Vergni |
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