La pericolosa deriva che trascina fuor di sé la nostra epoca muove dal suo folle sogno di esserne un’altra e “futura”. E l’uomo, a essa impigliato, è in fuga anch’egli, e in modo particolare dalla sua condizione naturale d’esser incastonato, con “radici volanti”, ai luoghi. A poco a poco ha perso del tutto di vista che le cose osservate hanno anche loro una prospettiva. Peter Handke, fuori dal coro, ha allevato un lettore, tutto suo, a rintracciare quell’interiorità del fuori[2], o doublure, tale che se lambiamo, con precisione d’osservazione, un luogo, quel luogo chiede di noi.
Con il consolidarsi del paradigma tecnologico, che già i Greci evitarono di far proprio perché temevano configgesse con le leggi di natura, noi oggi non siamo più abituati a pensare ai luoghi come a qualcosa di più originario dello spazio[3], né a sentire che l’intimità che portiamo con noi aderisce ai paesaggi che attraversiamo. Handke, in un eccesso di vicinanza, raccoglie repertori di percezioni impreviste e lentissimo le degusta, tanto che ogni sfumatura viene licenziata solo dopo averla assaporata a fondo. “Gli occorreva sentire con precisione dov’era in ogni momento, di aver presenti le distanze, di esser sicuro degli angoli di inclinazione. […] La voglia disinteressata di esistere.”[4] Ed è così che la sua scrittura torna a casa, prendendo sul serio il mondo in ogni sua minima forma, - una striatura in un sasso, un virar del colore nel fango, - come solo i bambini sanno fare. Le sue annotazioni, senza interruzione né connessione armonizzante, obbligano il lettore, e Handke stesso, a un approccio, alle cose e alle forme, segmentato e concatenato. La frase è coordinata senza gerarchia, dalla congiunzione copulativa, da una “e” insistente, spesso preceduta e nobilitata dalla virgola, o dal punto e virgola. Questa addizione minuta d’osservazioni, secondo una scansione paratattica, è molto rivelatrice: rivela quanto l’uomo non abbia, in realtà, bisogno d’esser soccorso dal riconoscimento di una direzione o da una qualsivoglia spiegazione. L’ostensione è quanto di più sia in grado di custodire la meraviglia, come se ancora nulla abbia asservito i nostri sensi e la nostra anima: “il fracasso di un treno che improvvisamente, al passaggio sopra un ponte di ferro, si trasforma in un frastuono primigenio”[5]. Natalia Anzalone
Note:
[1] P. Handke, L’ora del vero sentire, Milano, Garzanti, 1995. [2] Espressione già di Rainer Maria Rilke. [3] G. Agamben, Stanze, La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino, Einaudi, 2011. [4] P. Handke, Lento ritorno a casa, Milano, Garzanti, 1986. [5] P. Handke, Saggio sul juke-box, Milano, Garzanti, 1992. Scrivono in PASSPARnous:
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Nicola Candreva, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Davide Palmentiero, Maurizio Oliviero, Francis Kay, Bruna Monaco, Francesco Panizzo. |
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