Non sono io. No, non può trattarsi di me. Non proprio: non io. Macché! Figuriamoci... Io quel coso lì? Ma se è storpio! E strabico. E poi ha le guance grasse e i peli disordinati in viso. I capelli? Beh... chiamiamoli capelli. Insomma quella peluria cranica... Altro che Gian-Paolo, quell’immagine nauseante andava oltre a qualsiasi gastrite. Una crisi polmonare: solita. Chiudo gli occhi. Un momento di assolutamente niente. Subito spiacevolmente conquistato da strani pensieri, macchie rosse, colori che si propongono come spirali universali. Ho paura a riaprire gli occhi. Ho paura che se li riaprirò mi troverò davanti... me stesso. Li apro. Chi è quel pazzo? Dove sono io? No non posso essere io quel coso! Così comico, nel suo di tragico. Macché, è un amico, lo saluto? Ciao, gli dico. Sapete cosa? Non risponde mica quel maleducato! Vaffanculo!, gli grido. Ride. È pazzo, certo, non sono io: io son sano. Ma come... come c’è finito nel mio specchio? Vattene!, lo intimo. Sapete che mi risponde? Niente. Fa come se non m’avesse sentito. T’ho detto d’andartene disgraziato!
Quello mi guarda come se niente fosse. Ma che razza di modi! Mi vien voglia di colpirlo con un pugno ma mi trattengo. Chi pulirà i vetri?, chi medicherà le ferite? Ma allora non è vero che sono tutto andato, come diceva poco fa quel tipo nello specchio. C’è sprecanza: speranza! La dislessia psichica mi prende la lingua e ne fa un palcoscenico dove arrangiare Foxtrot, Swing e Tip Tap. Tra piroette eccetera (e chi ci capisce di ballo?, io stavo sempre in disparte con me stesso turbato da me) capriole ed esaltazione per coriandoli certo che mi inciampano le parole... Eh che diamine! Per forza!, le fai trotterellare a quella maniera, dico io, sarà insano tutto quel muoversi come fosse l’espressione fisica di una mente ossessiva! Cosa hai detto? Mi guarda dallo specchio: crede di essere al sicuro là dentro. Certo, pensa che tanto non ho coraggio di rompergli il muso e tirarlo fuori di lì, o laggiù. Pensa di potersi permettere ogni sguardo, qualsiasi ironia, arrogante bastardo!, mentr’io qua m’ammalo ogni giorno sempre di più. Ho avuto anche la febbre, una volta, da bambino... Adesso il me bambino è dimenticanza del mio adulterio: adulto! E io son solo con quell’ammiccante omosessuale (a dire dall’espressione) che si specchia nei miei occhi. Ora prendo e gli spacco la faccia. Ma le mie mani... temo per le mie mani. Come suonerò il violino se mi rompo le mani? Ma che dico mai?, non ho mica mai imparato a suonare il violino! Di lezioni ne feci tre e poi buttai lo strumento dalla finestra. Al diavolo il violino e il suo trillo: che siano altri a pietrificarsi i calli. Io adoro il morbido, il comodo: son amante del mio letto - non a caso solo lì faccio all’amore. Il mio cuscino poi... vi affondano i miei pensieri con il sonno e allora sogno di essere qualcun altro, altrui, e non questo me stesso riflesso nel mio riflesso. Certo che anche il divano è un piacere, ma insomma: vuole o non vuole smettere di fissarmi quel tipo lì? La vuoi smettere di fissarmi?! E sapete cosa?, non mi risponde mica. Ma io non mi rendo conto!: son disgustato oltre alla confusione. Bestiaccia schifosa lasciami stare! E pensate un po’, quello si permette di cambiar forma. Diventa ora così, ora cosà, sempre più astratto e folle finché non scompare proprio. Allora mi ritrovo da solo con il mio specchio vuoto. L’evento mi turba un poco. C’è nessuno?, dico allo specchio avvicinandomi incerto. Nessuna risposta d’immagine: c’era da immaginarselo, s’è offeso! C’è nessuno?, grido quasi con disperazione. Sappiate che non son dedito alla disperazione, affatto, son anzi molto poco disperato, il più delle volte; di disperato ho sempre e solo avuto giusto l’espressione... Eccoci, ci siamo: ho capito! Mi s’è annullato il riflesso poiché m’è sparita la disperazione. Che gioia! Il mio specchio non riflette più il mio sgomento: che allegria fanciullesca! Lo sapevo che prima o poi sarebbe finita, mica poteva durare così a lungo questo piccolo dramma casalingo. Io e le mie quotidiane discussioni specchiate. Alle volte mi rubavano tutto il giorno e non si concludeva mai niente; non c’è da stupirsi se temevo d’impazzirci. È peggio che una relazione con la peggiore delle donne, quella che alcuni hanno con sé stessi. Già. Ma quello lì non ero mica io! Quello non era nessuno, solo la mia angoscia. Ora è scomparsa, non so come né perché e neanche mi interessa perché insomma mica ci si può interessare a tutto, ma adesso è sparita. Son finalmente solo! Ah che bello specchiarsi nella verità limpida di sé stessi: in risposta la leggerezza del non esserci. Vuoto. Ah vuoto... Ho sconfitto le mie angustie e ora guardo in faccia la mia libertà. Già. L’allegria, non so perché, mi si consuma rapidamente. Sento appassirmi il sorriso sulle labbra, benché non le veda. Una nuova strana sensazione mi affiora. Chi sono se niente può riflettermi?, nulla testimoniarmi? Mi avvicino allo specchio e guardo in ogni angolo alla ricerca di me stesso. Dove diavolo sono finito?, dico non so più a chi osservando nervosamente ogni punto, sporgendomi fin dentro lo specchio, quasi. Il naso mi si schiaccia sul vetro che la mia ansia appanna: ma dove sono finito mai? Vieni fuori... dico a quello che ero fino a un attimo fa, dai che il gioco è finito, forza, stavo scherzando! Non sei strabico affatto, solo un poco... storpio poi, macché: era per offenderti. Scusa, non volevo offendermi. Perché non torni che ne parliamo, avanti non far il permaloso, dove ti sei cacciato? Ti prego non ne posso più di non incontrarmi, non lasciarmi solo davanti a questo vuoto, son stato stupido ad esultare tanto proprio un momento fa: niente è più scandaloso che questo. Rispondimi! Apparimi! Dove sei anima mia? Dove sei mia unica ricchezza: specchio della mia vita, immagine sacra dei miei sbagli e sbadigli... mio unico possesso! Torna te ne prego! Che paura che mi fa il baratro che mi stai mostrando scomparendomi.. Tommaso Dati
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