Chi è Meursault? Uno degli Indifferenti di Moravia incapace di vivere perché immerso nella ragnatela dell’astrattezza del pensiero? No, Meursault è capacissimo di vivere: per lui la vita è tutto. Ne gode ogni momento con una certa saggezza di cui non si cura e non sembra neanche essere a conoscenza. Beneficia del caffellatte, delle sigarette, dei paesaggi, del bagno in mare, del cielo con le sue nuvole, della sera con i suoi colori e le sue ombre, del vino, delle donne, del sanguinaccio, dell’amicizia con l’oste alla cui taverna va spesso a mangiare, della sua stanchezza, del sonno. È un po’ pigro, si alza a fatica dal letto, lavora fedelmente per la stessa ditta da diverso tempo ma non sembra trarne grande interesse o soddisfazione. Si annoia un po’, ma niente con cui non si possa convivere. Il principale gli rimprovera la poca ambizione: avrebbe piacere a trasferirsi a Parigi?, gli chiede proponendolo all’ufficio che ha intenzione di installare nella capitale. Meursault risponde di sì, sebbene per lui sia indifferente. Infondo non ha ragioni per cambiare la sua vita: non è infelice.
Esteriormente Meursault appare come un uomo riservato, forse introverso, calmo e pacato, buono, educato. Da questo “diario”, da questa “confessione”, - ma non si può trattare né di una confessione né di un diario - da questo romanzo che è una denuncia, noi scopriamo che Meursault è un poeta. Se si legge con attenzione senza bisogno di addentrarsi “tra le righe”, ma rimanendo rigorosamente concentrati su queste, si scopre che egli è un osservatore. Guarda alla vita con il distacco che è proprio di coloro che vogliono vederla veramente. È in realtà un uomo tanto razionale da arrivare all’irrazionalità. Meursault non si dispera per la morte di sua madre come non si dispera per la morte di nessuno, e i motivi ritengo siano due: uno compreso e l’altro intuito. Quello compreso è che sua madre non è che una qualsiasi persona. È vero, è sua madre, però sarebbe potuta benissimo essere stata un’altra donna. Dunque, l’insensatezza di qualsiasi cosa: insensata in quanto priva, o privata (proprio tramite questo ragionamento per esempio) del suo significato. L’altro motivo, quello intuito, è che l’evento della vita come della morte è tanto disperante da non concedere ad alcuna disperazione umana la capacità di esprimerlo. Per questo non vuole neanche vederla un’ultima volta nella bara, la lascia coperta. Si comporta sufficientemente presentandosi all’ospizio, dove l’aveva mandata poiché non aveva soldi per affidarla alle cure di un’infermiera, e assiste alla veglia notturna. Subito dopo il funerale si affretta per tornare in città ed è come se non fosse successo nulla; nulla di eccezionale comunque. Meursault gode del godibile, si annoia del tedioso e non entra nel merito della stancante espressione dei propri pensieri o emozioni, i quali, proprio come sua madre, sono solo “qualsiasi” e potrebbero benissimo essere altri. A differenza del Roquentin de La nausea di Sartre che non riesce a vivere perché incastrato nella sola esistenza, Meursault, solo apparentemente, sembra non prendere parte all’esistenza per via del suo “distacco”, ma in realtà la vive integralmente. Ma allora chi è questo Meursault?, un vero nichilista alla Bazarov di Padri e Figli? Meursault è un filosofo, o meglio: ha un’anima filosofica; quella stessa anima di cui tutti negano l’esistenza vista la sua apparente “estraneità” e di cui tutti, perciò, poiché muniti di un’anima ben più tangibile, condannano l’inesistenza. Invece, Meursault l’anima ce l’ha!, e doppia: un’anima filosofica e un’anima poetica. Se la sua anima filosofica lo porta ad apparire indifferente, la sua anima poetica gli permette una particolare partecipazione agli eventi della vita. Proprio in quelle descrizioni umilmente poetiche come il calar della sera, lo sbocciare dei suoi rumori, il venire del giorno, l’apparizione allucinante di un’altra alba angosciata dalla curiosità che possa essere l’ultima, viene fuori la sua dolorosa sensibilità. Sì, è uno straniero, poiché è estraneo. È straniero per coloro che non lo conoscono e per coloro che lo conoscono. È straniero per Maria che crede di amarlo e vuole che lui la sposi, così come è straniero per il giudice, gli avvocati e i giornalisti che sentenziano senza capire ma unicamente per approdare a qualcosa di comprensibile. Egli è persino straniero a sé stesso. In un complesso paradosso Mersault vive dentro le cose e fuori da queste a stesso tempo. Gode del sesso, ma non ci vede che sesso. È immerso nell’azione, ma non la valuta che come un’azione qualsiasi. Sebbene non sembri, è confuso. Dice al prete di non sapere precisamente cosa vuole, però sa bene cosa non vuole. È in questa incomprensione verso il significato della vita che si mostra interdetto: là dove altri trovano rassicurazioni in Dio o nella Giustizia. Il problema per Meursault, che sa cosa non vuole, è che a nessuno interessa: tutti sono indaffarati a capire chi è, non piuttosto chi non è!; come se questo non potesse svelare niente... Meursault non è un assassino, però ha ucciso. I giudici, i giornalisti, gli avvocati che lo condanneranno a morte sono molto più assassini di lui. Uccidono anche loro, e in nome di un’idea molto più astratta di qualsiasi che Meursault possa avere, il quale vuol farci credere di non averne. Perciò Meursault è o non è colpevole? A suo modo è colpevole. È colpevole di non aver pianto sulla tomba di sua madre, di non mostrare interesse a cambiare la sua vita ad Algeri per un’altra a Parigi, di aver ucciso l’arabo e non provarne rimorso. È colpevole perché non si difende e perché non si considera né colpevole né innocente, è colpevole della sua anima filosofica che lo porta ad alienarsi da ogni cosa sebbene proprio tramite quest’alienazione egli assapora la linfa delle cose, ed è colpevole della sua anima poetica che invece lo porta a vivere con intenso piacere ogni evento della vita. Insomma, è colpevole di tutto ciò che sa di non volere ed è colpevole della sua conoscenza, o per meglio dire: coscienza; che lo rende estraneo agli altri e spesso a se stesso. Mersault dice, verso la fine del libro, che nessuno aveva diritto di piangere per sua madre perché alla sua età aveva giocato a “ricominciare”, fidanzandosi con uno degli ospiti dell’ospizio. Ebbene Meursault lo ammette: morire adesso o tra vent’anni fa lo stesso, ma quel vuoto di vent’anni non vissuti senza alcuna ragione, è devastante. Ed è devastante perché Mersault è umano, sebbene condannato di inumanità. È tanto umano da non vivere umanamente la sua umanità. È assurdo che qualcuno, morta la madre, non ne provi dolore. È assurdo che qualcuno si mostri indifferente a qualsiasi evento della vita, persino alla sua stessa morte: è perciò assurdo che qualcuno sia tanto assurdo da accettare ogni avvenimento della vita. Proprio come Cristo, Meursault, accetta la sua condanna. È una condanna assurda, e lo sa, è dettata da uomini assurdi che non capiscono niente ma si propongono di spiegare tutto, è assurdo che sua madre gli abbia dato vita e che questi uomini adesso gli diano la morte, ma non può sfuggirlo, poiché assurda è la vita. Ed è tanto più assurda quanto è assurdo il desiderio di viverla, nonostante tutto, fino all’ultimo istante. Tommaso Dati
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