Dello studio delle lingue antiche e di come non farsene ossessionare
Articolo di Massimo Acciai Baggiani
Premetto che non ho fatto il liceo, né scientifico né classico, e che quel poco di latino e di greco l’ho imparato per conto mio e per libera scelta, durante gli anni universitari. Il greco antico in particolare l’ho studiato su una terrazza in un palazzo del centro di Firenze, in pomeriggi assolati con una leggera brezza che portava con sé odori primaverili. |
I miei testi di riferimento erano i vangeli, ritenuti scritti in una lingua più semplice (lo so, per un ateo convinto come me suona un po’ strano…). Confesso anche di aver abbandonato quello studio, per vari motivi, ma mi è rimasta sempre una certa “attrazione” verso questa particolare lingua indoeuropea, col suo elegante alfabeto e i suoi suoni esotici e accattivanti. Quando mi è capitato quindi tra le mani il libro di Andrea Marcolongo La lingua geniale, 9 ragioni per amare il greco, me lo sono divorato in un paio di giorni.
Scartata dopo poche pagine l’ipotesi che il titolo fosse ironico (si può a mio parere definire “geniale” l’esperanto, e per certi aspetti ancora di più l’ido, ma non certo il greco antico) ho continuato la lettura, da profano, annotando i punti in cui il mio pensiero divergeva da quello dell’autrice (sì, si tratta di una donna nonostante il nome percepito come maschile in Italia1). Ma chi è Andrea Marcolongo? Si tratta di un’insegnante di greco che ha avuto anche un’esperienza dichiarata di ghostwriting per conto dell’ex premier Matteo Renzi. Una donna che, come afferma verso la fine del suo libro, di fatto pensa e ragiona in greco antico2. Già questa affermazione mi ha lasciato perplesso: la Marcolongo sostiene che per comprendere veramente questa lingua – che altrove dichiara irrimediabilmente perduta – occorre vedere il mondo come lo vedevano gli antichi greci, ragionare come loro. Non credo che andrei d’accordo con qualcuno che ha una visione guerrafondaia e schiavista; io sono sempre stato un uomo volto verso il futuro, non certo verso il passato che ho sempre avvertito come barbaro e primitivo. I poemi omerici non li ho mai gustati, con tutti quei morti ammazzati per questioni ridicole, quegli esaltati che pensano solo a far fuori il prossimo per la “gloria”, la disciplina militare, gli stupri e i saccheggi che tanto piacevano ai popoli antichi, eccetera. Il libro della Marcolongo comunque è ben scritto, in un italiano attuale, scorrevole e non certo antico: è una lettura agevole anche per chi il liceo non l’ha fatto, anche se certo chi ha sudato il greco sui banchi di scuola può comprendere meglio certi riferimenti autobiografici dell’autrice. Interessante è infatti la questione dell’approccio a una lingua morta come il greco, a cui vengono dedicate molte pagine. Che un adolescente del XXI secolo d.C. debba studiare il greco viene dato per scontato (andrebbe ricordato alla Marcolongo, come a tanti insegnanti di liceo, che gli studenti che hanno davanti non sono lì esattamente di propria volontà…) così come che occorra sudore e fatica per le fare le versioni (forse la Marcolongo non conosce i metodi Assimil, anche se accenna appena a esperimenti di insegnamento delle lingue morte come se fossero ancora vive3) e che pure lei ha vissuto momenti di terrore davanti a parole che non conosceva o al momento di inserire accenti e spiriti: ma ne vale davvero la pena? Secondo l’autrice sì (anche se non si troverà mai nessuno con cui comunicare in questa lingua: almeno il latino ha ancora oggi dei sostenitori per un uso internazionale e perfino un vocabolario moderno ricostruito4). Il mio parere al riguardo del mondo della scuola l’ho già espresso nel mio romanzo-saggio La nevicata5: materie come il greco dovrebbero essere facoltative, non servono alla vita concreta e certamente “ragionare come un greco” nel 2018 non è una cosa né utile né desiderabile. Se ci liberassimo dalle noiose e cervellotiche “versioni” obbligatorie e, da adulti e consenzienti, ci volessimo occupare del greco potremmo anche trovarne delle soddisfazioni, scoprendo che il greco è stata a suo tempo una lingua viva che veicolava una certa visione del mondo (che per fortuna non è più la nostra ma che è interessante conoscere). Ma perché l’autrice la definisce “geniale”? Vediamolo. Certamente la “genialità” non sta nella semplicità. Pare anzi che secondo la Marcolongo complessità e visione del mondo diversa siano sinonimi di genialità (cosa su cui dissento): il greco viene elogiato per la scarsa importanza che il sistema verbale dava al tempo (il quando) privilegiando l’aspetto (il come), per il fatto che possedesse tre generi grammaticali (maschile, femminile e neutro6) e tre numeri (singolare, plurale e duale7). La Marcolongo va poi in brodo di giuggiole per la sinteticità del greco, data dalla presenza di casi (che guarda caso sono spariti nelle lingue romanze… ma lei “semplificazione” la chiama “banalizzazione”), e impazzisce per l’ottativo (il modo del desiderio, scomparso nelle altre lingue indoeuropee). Al contrario per me “genialità” significa capacità di esprimere ogni sfumatura di pensiero col minimo sforzo mnemonico e con la massima razionalità e praticità: ciò che insomma hanno cercato di fare il buon Zamenhof e i suoi discepoli. Il libro, disseminato di vari riquadri con curiosità sul mondo antico (molto bizzarro quello relativo alla visione dei “colori” presso i greci), si conclude con una storia dell’evoluzione del greco, e dei suoi dialetti, dall’indoeuropeo al neogreco passando per la koiné, mostrando come – caso unico nel panorama linguistico – non si sia trasformato in un’altra lingua ma sia mutato sempre all’interno di sé, recuperando parole antiche per il loro prestigio (anche se magari non più comprese dal popolo). Mi pare un discorso un po’ strano: non è possibile fermare l’evoluzione di una lingua viva, si possono al massimo conservare solo o quelle morte (come il latino, cristallizzato nella sua grammatica e nel suo lessico, a cui si possono sì aggiungere parole moderne ma ricalcando quelle antiche) o quelle artificiali come l’Esperanto (che è comunque una seconda lingua e si “evolve” per certi aspetti come il latino moderno). Il greco parlato oggi è una cosa molto diversa da quello antico, anche se magari i greci per nazionalismo tendono a negarlo. Permettetemi in conclusione di non trovare convincente nessuna delle nove ragioni (non chiaramente elencate) che la Marcolongo dichiara nel sottotitolo per ritenere geniale il greco; ma forse per amarlo sì. Massimo Acciai Baggiani
Note:
Bibliografia
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