Il rovescio dello specchio
Questa dimensione verticale, del cielo dentro l’abisso marino,
esiste ovunque. Gli haitiani della Tradizione Vudù è sempre e solo alla terra che si rivolgono, su di essa battono, e la toccano con le labbra e la fronte; sanno senza incertezza alcuna che lì sotto è contenuto il cielo. Un cielo né deificato né allontanato, ma quotidiano e normale, come del tutto normale è lo sguardo del ragazzino, che Maya Deren coglie a osservare, appoggiato a un paletto, una possessione che davanti a lui ha luogo. La stessa cineasta, nel descriver la sua, dice che si congiunse a Yanvalou nel punto della sua gamba sinistra radicata alla terra. Da una radice di lei, che si configgeva nel terreno vuotandolo, vertiginosa s’alzava, come una rapida marea, l’oscurità bianca, splendore di gloria e oscuro terrore. Ogni corpo confla e suscita un numinoso riflesso sulla superficie dello specchio cosmico, ombra di una natura particolare, o carattere, gros-bon-ange, che si tiene su proprio per la presenza del corpo che vi si rispecchia. E alla delitescenza della materia che la faceva galleggiare, l’immagine tutta intatta s’inabissa nelle profondità della “terra celeste”. La cerimonia del retirer d’un bas de l’eau restituisce il riflesso al fondo cosmico. Non sentenzia forse lo stesso Jung “qualcosa d’altro in me era la pietra senza tempo”, a fronte dell’inconsistenza del banale esser fiamma che divampa e si spegne? Il trans-visibile “double of the physical being” non è qualcosa di sovrannaturale, benché la Deren lo affermi; è soltanto una forza elementare primaria, come il mare che nel suo fenomeno fisico esprime il suo persistente principio. Nato con la materia, a cui dà l’accordo e la figura, esso è un’intelligenza stabile, che, alla perdita dell’appiglio corporale del mondo circondato dagli orizzonti, cadrà a strapiombo nel cielo sotto il mare. Fra il buio intenso si sparpaglierà come un distillato di vibrazione costante, Fuoco Fisso di costellazioni di prima grandezza. E mi piace pensarlo così il loa che risale vorticosamente dalle acque celesti degli abissi sotterranei, di nuovo sull’orizzontale, richiamato da danze rituali simili ad acqua e da canti come suoni di luce. La tenera misericordia del ritorno al mondo perché tutto abbia a vibrare ancora di più! Non è d’altra parte per una resistenza nel circuito del flusso della corrente che si accende la luce e si produce il calore? Lo choc galvanizzante della possessione è come un lasciarsi prendere da un’ossessione, esclusiva ed esaltata, che, sì, fa attrito, ma non sprofonda mai incontrollata all’interno della persona frantumandola, si sprigiona in un’esplosione verso l’alto e verso l’esterno. E ciò perché l’intera struttura della possessione va a sfondare la porta della sorgente di vita: la spoliazione dell’io. Gli straordinari poteri di percezione, di forza vitale e di saggezza cosmica arrivano solo a quella persona che si trova momentaneamente senza un centro su cui gravitare, in tutto dissolta in devozione. L’asse verticale immaginale dei demoni trapassa il piano orizzontale mortale spingendosi nel rovescio dello specchio sempre e solo laddove il canale si svuota, dove c’è qualcuno che s’affida. E concedersi come devoto serviteur non corrisponde a essere “un credente”; il credere abita la sfera della pura individualità, mentre il servire implica e cura “l’esser parte di”, il riconoscimento che la mente non è una realtà circoscritta dal monumento dell’io, che è poi quello che deifica. Nello stato di devozione si ampliano così i veri poteri di magia: s’attiva la simpatia. Nulla di magico ha, in effetti, la comune superstizione dell’esistenza di un’arte che tende a sovvertire, mediante pratiche occulte, la natura delle forze cosmiche. Come nessuna malizia è nel sogno del lusso al grado eccessivo, che trasfigura la femmina in persona femminile; un lusso del Cuore, ché nella sua profusione d’affetto non c’è ritegno, né calcolo. Natalia Anzalone
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