Venire in vecchiezza
è un tra-versare in purissime estensioni! Un albeggio in assolvenza! In avventurosa eccentricità rispetto al nostro esser internati, tal protendersi all’indietro, all’ingiù e all’infuori ci gravita infine alla vita. Quale improprietà è alle immagini d’uscita di scena, di crepuscolo, sì tanto segnato dai fuochi, di dissolvenza, per dar le tinte della stupefacente vecchiezza immagini da tempo corrosivo di giovanezza, ch’ella in fondo solo s’intacca. Un corpo che si ritrae, s’assottiglia e si restringe, sé dissecca dall’umida infestata mascherante personalità. La porosità ‘benedetta’, che il rinsecchirsi induce, fa vacillare la certezza dei propri confini, e ogni attaccamento a quelli, e gravita fuori; vi accede ora in intima adesione, con gusto. Un kósmos di tenera bellezza, per tanto tempo rimasto là fuori, rifrange e fluttua nello sguardo antenato che integra l’ombra, rivelando un’insospettata estraneità a se stessi. Piegati come uno stelo di riso sotto il peso dei chicchi maturi, con la pelle che straborsa attratta dalle tante gravità, i vecchi sono svegli al mondo che è sotto il mondo, alla notte, all’invisibilità essenziale che obbliga all’esercizio spirituale dell’immaginazione. La danza degli spiccati sensi non più li trattiene, ormai incerti e vacillanti essi. I fili perduti estendono, poi, all’indietro la radura, lasciando più spazio agli uccelli che vogliano venire a trovarli, per una rassegna che apre a una distensione, alla misericordia e alla venerabilità. Più l’immaginazione prende respiro sull’ampio spazio che s’estende indietro, più si sfuoca la memoria del quotidiano, quasi fastidiosa ormai… e la vista batte i territori del lontano. Si lascia a poco a poco la presa e si indugia in iterazioni archetipiche, in singolari ripetizioni, che fan del mondo qualcosa di sempre meno personale, cadute le intime adesioni a ciò che sembrava preservarci. Invecchiare non è un accidente, ma quanto di più voluto dal corpo sottile dell’anima: nel vecchio smaglia, intensa, l’immagine unica d’uno stile che a ognuno è proprio, coltivato da valori invisibili via via scelti e trattenuti. L’intensità delle linee visibili sulla faccia delle cose, come delle persone, il disegno d’una movenza, il fascio dei tratti d’una voce, le rughe d’un carattere, a conferirli sono un istinto valoriale, un daimon, che sfonda nella sophia, o perizia del timoniere, al fin di portare a compimento uno dei tanti magici destini che il cosmo inferisce. Venire in vecchiezza è allora anche il raggomitolarsi nella propria preziosa vocazione estetica, l’immiarsi dell’angelo al coriaceo corpo che sempre più evanescente s’intua a un cosmo, che assorbe le sue immagini tutte, intime e straordinarie. Natalia Anzalone
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