Metti che sei un medico sessantenne con una malattia terminale causata dal fumo e che una sorta di stregone ti doni dieci pillole che permettono di tornare indietro nel tempo di trent’anni, per pochi minuti a volta: come le impiegheresti?
A me ne basterebbe una di pillola; invece il protagonista del romanzo di Guillame Musso Chi ama torna sempre indietro riesce a sprecarne ben nove senza combinare niente di buono. Non è cosa da poco e l’umorismo tragico della situazione è del tutto involontario: Musso è un ottimo scrittore di storie sentimentali con elementi fantastici (di lui ho apprezzato L’uomo che credeva di non avere più tempo e Quando si ama non scende mai la notte) ma ha il difetto di sacrificare la verosimiglianza all’effetto melodrammatico. Ecco in poche parole la situazione. Il trentenne Elliot, promettente chirurgo e fumatore incallito, nel 1976 perde la donna della sua vita, Ilena, addestratrice uccisa da un’orca di cui si prendeva cura. Nove anni dopo ha una figlia, Angie, da un’avventura italiana. La figlia diventa la sua ragione di vita. Nel 2006 Elliot, ormai sessantenne e malato di cancro a causa del fumo, salva la vita di un bambino cambogiano e riceve dal padre del piccolo dieci pillole che gli permetteranno di realizzare il suo più grande desiderio: rivedere Ilena. Ora, se avessi il cancro la prima cosa che desidererei sarebbe guarire (come disse qualcuno, le due parole più belle del mondo non sono “ti amo” ma “è benigno”), ma qui siamo in un romanzo strappalacrime, sarebbe un desiderio troppo banale. Allora cosa fa il nostro Elliot? Prende la prima e incontra il se stesso più giovane di trent’anni. Lo avverte di smettere di fumare? Noooo, quando mai! Ha giusto il tempo di presentarsi per scomparire subito dopo. Vabbè, all’inizio crede di essersi sognato tutto – infatti le pillole funzionano solo durante il sonno – e racconta tutto all’amico fraterno Matt, a cui ha salvato la vita molti anni prima. Si dirà: utilizzerà meglio il suo tempo con la seconda pillola, quando si è finalmente convinto, grazie ad alcuni indizi, che la sua è un’esperienza reale. O quanto meno impedirà la morte di Ilena. Macché! Il ragionamento perverso è questo: se salva Ilena poi avranno dei figli e una famiglia e Angie, l’amata figlia nata dopo la morte di Ilena, non nascerebbe. Deve insomma scegliere se salvare il suo amore o la figlia. Non esista a sacrificare il primo ma poi, ragionando col suo doppio, meno propenso di lui a rinunciare a Ilena per una figlia di cui non sa nulla, trova una soluzione che dovrebbe salvare capra e cavoli: gli rivela il giorno e la circostanza della morte di Ilena e si fa promettere che dopo averla salvata la lascerà senza darle alcuna spiegazione, poi dovrà mollare anche l’amico Matt, anche lui senza una parola (perché? Non è dato saperlo). A malincuore il giovane Elliot tiene fede al patto, ma Ilena è sconvolta e si getta da un ponte. Viene portata in fin di vita allo stesso ospedale dove lavora Elliot, il quale però, sconvolto a sua volta dalle droghe che ha preso per superare il dolore della separazione, non è in grado di far nulla. Ci penserà il suo doppio sessantenne, con l’ennesima pillola, a salvarla una seconda volta. A quel punto si rimettono insieme, come sarebbe logico? No, perché evidentemente non gli viene in mente che potrebbe avere comunque Angie cornificando la compagna, magari pure col consenso di lei dopo averle spiegato la situazione. Sarebbe troppo semplice. Dunque Elliot sessantenne muore e l’amico Matt, a cui non ha più rivolto la parola per trent’anni, fa un rapido conto e comprende che le pillole usate sono nove. L’ultima, nascosta in casa di Elliot, servirà a lui per tornare indietro nel tempo e convincere l’amico a smettere di fumare – finalmente qualcuno ci ha pensato! – e ricambiare il favore di tanti anni prima, quando ha salvato la sua di vita. È un peccato che oltre alle pillole si sia sprecato anche un buono spunto che, sebbene non originalissimo (la fantascienza sui paradossi temporali derivanti dall’incontro col proprio doppio è piuttosto nutrita e ha prodotto anche opere interessanti) poteva essere trattato meglio se l’autore avesse rinunciato all’effetto tragico a tutti i costi: la famosa scelta tra chi salvare e chi condannare. Massimo Acciai Baggiani
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