Molti hanno sentito parlare di Esperanto, ma pochi sanno che – seppure per un breve periodo – nazioni in cui si parlava la lingua internazionale di Zamenhof sono esistite davvero. In Esperanto esiste la parola “Esperantujo” che indica quell’ideale paese in cui si parla tale lingua, e in concreto la collettività degli esperantisti, sparsi in tutto il mondo. Scopo della lingua internazionale non è ovviamente quello di creare una nazione, ma di espandersi oltre le nazioni, in modo sovranazionale. Nel corso della sua storia, ormai più che centenaria, solo due nazioni l’hanno adottata ufficialmente: il Moresnet e l’Insulo de la Rozoj o Isola delle Rose.
Colgo l’occasione della recente lettura del romanzo di Walter Veltroni, L’isola e le rose, ispirato a quella vicenda e presentato a Firenze il 16 settembre 2012 presso la festa del PD, per ricordare questa vicenda priva purtroppo di un lieto fine. La serata, a cui erano presenti anche il giornalista Massimo Gramellini e l’allora sindaco Matteo Renzi, è stata tra parentesi molto deludente: del libro si è parlato pochissimo, e dell’Esperanto non è stato fatto neanche il nome. Quasi due ore di noiosissime chiacchiere sulle primarie e sul ritorno di Berlusconi tra cui, en passant, dieci minuti scarsi in cui si è parlato anche dell’Isola. Il libro non l’avevo ancora letto ma conoscevo la storia già da molto prima, anzi avevo in mente di scrivere qualcosa del genere anch’io: sono stato battuto sul tempo (gli amici a cui ne avevo parlato possono confermare). Avevo appreso la vicenda in ambiente esperantista, dove è ben nota. Riassumendo in poche parole, la storia è questa. Nel 1968, in piena rivoluzione culturale, l’ingegnere italiano Giorgio Rosa, insieme ad altri ragazzi suoi amici, dà una realizzazione concreta ad un’utopia: uno stato indipendente, basato sui principi di fratellanza e pacifismo che sono propri anche della lingua di Zamenhof, in cui tale lingua fosse usata come lingua ufficiale. L’Isola in realtà era una piattaforma artificiale costruita in acque internazionali, a 11 chilometri al largo di Rimini: l’ingegnere Rosa proclamò l’indipendenza dello stato il 1° maggio del ‘68, costituendo quella che in gergo tecnico viene chiamata “micronazione”. Prendendo il nome ufficiale di Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose (in Esperanto “Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj”), la neonata nazione di dotò di una sua bandiera, un suo governo, una sua moneta, perfino un’emissione di francobolli (divenuti in seguito una rarità filatelica). Molta gente iniziò a visitare l’Isola, e questo fatto positivo segnò anche la fine dell’utopia realizzata: lo Stato Italiano, che in teoria non avrebbe dovuto avere nulla da ridire sulla cosa – essendo la piattaforma in acque extranazionali – progettò in breve tempo l’occupazione militare e lo smantellamento dell’Isola, avvenuto con l’esplosivo nel febbraio dell’anno successivo. Non essendo stato riconosciuto ufficialmente da nessuna nazione, il governo italiano si comportò vigliaccamente da invasore senza scrupoli, nonostante le proteste degli abitanti dell’Isola presso le autorità italiane e le numerose manifestazioni di solidarietà da parte di riminesi e non solo. Questi i fatti come si sono svolti nella realtà. Veniamo ora al romanzo di Veltroni. La storia è più o meno la stessa, pur romanzata, con tante “licenze poetiche” ed episodi partoriti dall’immaginazione dell’autore, il quale ha incontrato di persona l’ingegner Rosa e lo cita ovviamente nei ringraziamenti finali, insieme a tanti altri tra cui anche alcuni esperantisti che conosco anch’io (quali Carlo Minnaja – a cui devo la correzione del mio libro di racconti in Esperanto di prossima uscita – ed Andrea Montagner, presenza costante nei vari festival e congressi esperantisti a cui ho partecipato). Veltroni lega quel passato – il mitico ‘68 – con il presente attraverso la memoria suscitata dal ritrovamento di una “capsula del tempo” preservata sul fondo dell’Adriatico prima di essere riportata alla luce da Giovanni, un ragazzo che non ha mai sentito parlare né di esperanto né dell’Isola, né tantomeno ha vissuto quel decennio – gli anni Sessanta – in cui il mondo stava cambiando rapidamente e tutto sembrava possibile. Giovanni rivive quel sogno attraverso il racconto commosso di Andrea, l’anziano nonno di una giovane insegnante di esperanto a cui il ragazzo si era rivolto per saperne di più sui fogli scritti in quella strana lingua rinvenuti nel contenitore riemerso dal mare (scopriremo poi che il vecchio era uno dei ragazzi dell’Isola, precisamente il fotografo). Rivive la Rimini di Fellini e degli altri personaggi famosi dell’epoca, ma anche della gente semplice, la Rimini di quattro ragazzi, quattro amici che, ispirati dal circolo letterario creato da Edgar Allan Poe, decidono di costruire una piattaforma in mezzo al mare per ospitarvi artisti di ogni sorta. Al prezzo di enormi sacrifici anche economici l’isola viene costruita ed il bar entra in funzione. Arrivano le prime richieste, numerosissime, per avere una camera in quello strano albergo, tanto che vengono fatte degli audizioni (a cui partecipa anche un sedicenne Vasco Rossi, rifiutato a causa della sua giovane età – chissà se anche questa è una licenza poetica di Veltroni o è un fatto vero…). Dall’inaugurare una sorta di albergo in acque extraterritoriali alla fondazione di una micronazione il passo è breve ma non del tutto scontato, tanto che non tutti aderiscono entusiasticamente all’idea. Il nome c’era già – ripreso dalla poesia Il pane e le rose di James Oppenheim – così viene creato un “governo” democratico e viene scelto l’esperanto come lingua ufficiale, e si pensa anche a tutti gli accessori di una nazione degna di questo nome, quali francobolli, monete e una radio libera. Veltroni insiste molto sul carattere scanzonato ed estremamente serio al tempo stesso del progetto: un’esperienza che segnerà profondamente la vita dei quattro amici e delle persone che frequentano. Si parla di amori giovanili (la parte più noiosa del libro), ma si parla anche di rapporti tra genitori e figli, di morte, di abusi di potere, di onestà intellettuale, di giornalisti corrotti e giornalisti onesti, dell’entusiasmo e del sostegno spontaneo dei riminesi all’Isola, diventata, nei pochi mesi in cui è esistita, una presenza familiare ed amica insieme alla musica trasmessa via radio dal mare. Il tema del libro è la vicenda dell’Isola, ma pare che la vera protagonista sia l’epoca in cui si svolge. Veltroni ha riempito il suo romanzo di citazioni letterarie e musicali di quegli anni, forse perfino troppe a mio parere: ma immagino che l’autore abbia vissuto intensamente quegli anni e non possa farne a meno di guardarli con nostalgia, rivolgendosi principalmente a chi era giovane negli anni ‘60 – a Rimini ma non solo – e che comprende al volo la musica e la cultura dell’epoca. Io gli anni ‘60 li ho “scoperti” molto più tardi (circa una trentina d’anni dopo, in quegli anni non ero ancora nati: erano gli anni della gioventù dei miei genitori) e forse non posso cogliere tanti riferimenti rispetto a chi li ha vissuti, prendo comunque per buona la ricostruzione storica. Ciò su cui avrei un po’ da ridire è sull’accuratezza delle poche frasi in Esperanto, messe in bocca ad uno dei cattivi, oltretutto sgrammaticate: se da una parte la presentazione della lingua, che avviene per bocca della giovane insegnante esperantista, rende giustizia a Zamenhof, dall’altra sembra quasi uno sberletto che poi a parlarla sia il cattivo! Ma d’altronde l’esperanto interessa poco a Veltroni, si vede: è tuttavia illuminante la rilettura dell’episodio biblico della torre di Babele che fa il professor Domenico Barbato, personaggio del libro, in una conferenza improvvisata davanti ai ragazzi che lo ascoltano rapiti. Quel discorso ci aiuta a capire anche come possa essere nato un tipico pregiudizio verso la lingua di Zamenhof, sentita dai suoi detrattori come totalitaria e in concorrenza con dio, il quale avrebbe “confuso le lingue degli uomini” per fare loro del bene, per “salvarli dall’uguaglianza”. Ma questo è un altro tema che affronterò magari in un prossimo articolo. Non è ben chiaro perché alla fine lo Stato Italiano decida di sgomberare e smantellare la micronazione, non riconosciuta da nessuno: si parla di timore che qualche potenza straniera comunista la utilizzi per istallarvi dei missili, che diventi una sorta di casinò o un luogo peccaminoso dove le ragazze stanno in top less, che vada a pestare i piedi alle compagnie petrolifere o che sia un covo di sovversivi che diffondono messaggi pericolosi attraverso una radio libera. O forse semplicemente perché la libertà, il sogno, l’utopia fanno paura e si teme che costituiscano un precedente. Segue una battaglia legale già persa in partenza: è Davide che sfida Golia, ma dove è il gigante a vincere. Altrove esperimenti simili hanno vissuto più a lungo, si pensi a Sealand a nord della Gran Bretagna: purtroppo è tipico dell’Italia soffocare le idee rivoluzionarie. Sta di fatto che l’Isola viene fatta saltare e si inabissa come una novella Atlantide, per riemergere poi anni dopo sulle pagine dei quotidiani e delle riviste, quando una nuova ondata di interesse riporta all’attenzione questa triste vicenda. L’Isola affondò, ma non l’ideale che l’aveva fatta nascere, tant’è che se ne parla ancora a distanza di quasi mezzo secolo. Gli ideali non si fanno saltare con l’esplosivo, gli ideali sono immortali. Massimo Acciai Baggiani
Bibliografia:
Veltroni Walter, L’isola e le rose, Milano, Rizzoli, 2012. Isola delle Rose - la libertà fa paura. (Insulo de la Rozoj - freedom is frightening) Film documentario, Cinematica, 2009. L’Isola delle Rose, di Giorgio Rosa (documentario e libro allegato), Persiani Editore, Collana Documentari Cines, Bologna,luglio 2009. Scrivono in PASSPARnous:
Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Francesco Panizzo. |
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