Mentre dipingevo la mia frenetica esistenza, tra cielo e terra, il quadro acquisiva i colori come cibo per la sua esistenza famelico e ingordo, insaziabile; le pennellate veloci e senza rigore iniziale, dettate solo dalla vanità di riempire la tela, la tela di questa monotona e monotòna esistenza, pensando ai mille colori e sfumature del paesaggio raccolsi la necessaria richiesta degli occhi (che amarezza infondo) e intrapresi, indugiando, a pennellare senza mai alzare lo sguardo oltre l’orizzonte: il cielo era pur di un’unica tinta, premeva un’insulsa esigenza a posteriori... Il cielo assunse la forma di qualcosa risaputa:-... Si poi dopo lo faccio... - mi dicevo vanamente; il verde, il marrone, il giallo, il viola, il rosso, ogni colore declinava in se stesso e nelle sue ombre, il sentimento e le vibrazioni emozionali erano tese e intonate per tutto il tempo... Tempo appunto, ciò che ha reso ogni cosa eterea e vana... Alzai lo sguardo al cielo e non aveva più il mio umore, presi uno schiaffo dalla mia emozione più intima all’improvviso, come se tua madre mentre sei li a giocare veniva e ti rimproverava per qualcosa che ignoravi: basito, stupito, ferito, rammaricato, solo... Il cielo... Ho perso il cielo, ho perso tempo, ho perso l’affetto del cielo, come fosse qualcosa, qualcuno... La tela è persa, senza emozione, senza esistenza... Il cielo così, eppure mi ha toccato,senza che io sapessi come fosse, nel profondo, senza che io vedessi, toccando il mio dolore, senza averlo sentito... È tutto blue.
Mohamed Khayat
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