R. Z. - Paolo Bragaglia, direttore artistico del Festival ACUSMATIQ, ci racconti qualche anticipazione di questa nona edizione e con quali intenti è stata ideata?
P.B. - Questa edizione segue in maniera abbastanza fedele le linee guida che ci siamo dati sin dalla prima edizione: quelle di esplorare in maniera libera e trasversale quella parte del mondo musicale che si trova a fare i conti con la tecnologia. Si tratta quindi principalmente di elettronica ed elettroacustica. Ma quello che caratterizza quest’edizione più delle altre è il rafforzamento della sinergia con Università, sviluppatori e costruttori di strumenti elettronici del territorio con la finalità sia di presentare nuovi strumenti hardware e software in workshop dedicati, sia di creare delle performance che si avvalgano di queste nuove tecnologie. A questo proposito, il fatto che il festival sia nato nelle Marche non rende casuale questo approccio. Nelle Marche c’erano tra le più importanti aziende di produzione di strumenti elettronici degli anni ‘60, ’70 ‘80. Farfisa, Elka, Crumar, Siel, Eko e tantissime altre. L’intento è quello di riannodarci alla storia di una regione, la nostra, che produsse strumenti che finirono in mano dai Kraftwerk a Sun RA, dai Tangerine Dream agli Ultravox e miriadi di altri. Una storia ricordata da non molti che ci piace valorizzare anche per costruire un aggancio con il substrato territoriale del festival, in un mondo, quello della musica elettronica, che potrebbe sembrare legato ad un immaginario tecnologico privo di connotazioni culturali in senso geografico. In passato abbiamo creato il “Museo temporaneo del synth Marchigiano” ed abbiamo anche proposto convegni e tavole rotonde con un ottimo riscontro. Quest’anno presentiamo una tecnologia per la trasmissione dell’audio wireless nei concerti, due app per ipad e un sistema per lo scanning delle onde cerebrali che vengono convertite in MIDI. Tutto sviluppato e prodotto qua. Una specie di synth marchigiano 2.0…. R. Z. - Dal punto di vista programmatico ACUSMATIQ mostra una varietà, una molteplicità di espressioni e di forme ibride, puntando molto sulla qualità e, allo stesso tempo, sulla ricchezza anche numerica dei musicisti coinvolti. È così? P.B. - Ti ringrazio per questa osservazione, lo prendo come un grande complimento. Considerando i tempi difficili in cui ci si trova ad operare poter trasmettere questa impressione mi gratifica moltissimo. Tutte le scelte sono frutto di lunga ponderazione ma anche di “colpi di testa” più legati all’istinto che alla razionalità. Io da musicista ho sempre un po’ l’ impressione che costruire il programma di un festival sia come assemblare una suite musicale con tanti elementi diversi. Poi sono stato sempre incuriosito sia dalla musica colta che da quella cosiddetta extra-colta fino a lambire territori pop, credo quindi che questo nomadismo culturale si traduca in una serie di contrasti e chiaroscuri che vanno a comporre la texture caratteristica di Acusmatiq. Credo molto anche nella possibilità di mescolare pubblici diversi, un’operazione senz’altro rischiosa ma che può produrre dei magnifici corto-circuiti, quando funziona… R. Z. - Quali sono le difficoltà principali incontrate quest’anno nell’organizzazione del festival? P.B. - Non vorrei rinforzare il coro delle geremiadi che si sentono ormai ovunque, ma la drammatica, costante riduzione dei fondi a disposizione per questo genere di manifestazioni è senz’altro la difficoltà principale, che poi a cascata si riflette su tutto: programma, promozione et cetera. Va da sè che un festival dedicato alla musica sperimentale con la vocazione di proporsi ad un pubblico non “abituato” a certi suoni qual’è il nostro, se non ha la possibilità di fare ampia e capillare promozione, viene a perdere un bel po’ di forza. R. Z. - Che cosa ti immagini per il festival in futuro? Credi possibile che negli anni a venire il festival possa conservare queste caratteristiche e, anzi, amplificarle, magari fornendo anche un sostegno a nuove produzioni nell’ambito della musica sperimentale? P.B. - Si assolutamente, anzi mi auspico proprio di rafforzare sempre di più la sinergia con istituzioni di ricerca e ricercatori per proseguire quella che vorrei che diventasse una “tradizione” legata alle produzioni del festival. Spero anche di potenziare il networking con altre interessanti realtà nazionali ed internazionali, come ad esempio Spaziomusica. Credo che nei tempi che si preparano bisogna affinare quelle attitudini che ci hanno permesso di sopravvivere fino ad ora. Quindi legame con la ricerca e le nuove idee tecnologiche, ma non come semplice display di tecnologia ma come motore di creatività musicale. E poi magari coproduzioni e condivisione ad ampio raggio. Penso che il festival come lo si intendeva tempo fa, ovvero una semplice rassegna di produzioni esistenti, non possa più sussistere in un contesto come il nostro. Ti ringrazio infinitamente per questa chiacchierata e per l’interesse per la nostra “creatura”. Roberto Zanata
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