Evocare vari e inaspettati paesaggi sonori con un solo strumento, il pianoforte. È quello che Franco D’Andrea, uno dei cardini del jazz italiano, vincitore del Premio Musicista dell’anno al Top Jazz 2013, ha dimostrato di saper fare lo scorso 23 maggio a Roma con il concerto Piano Solo presso il Teatro Studio dell’Auditorium Parco della Musica. Otto brani - alcuni tratti dai suoi recenti album Today e Monk and the time machine - durante i quali l’artista, con un linguaggio personale che si installa all’interno della tradizione jazzistica, ha espresso con eleganza la sua passione per le infinite possibilità di cui il piano sa essere capace. Imprevedibilità e improvvisazione sono alcune delle parole chiave della sua esibizione e di buona parte del suo lavoro: partendo da composizioni originali o brani dei suoi autori preferiti come Gershwin ed Ellington, D’Andrea apporta modifiche, crea nuove trame e combinazioni che lo conducono all’esplorazione di territori sempre diversi. Una volta giunto sul palcoscenico, il suono della sua voce precede quello del suo strumento: il musicista, infatti, presenta il concerto come un viaggio libero e multiculturale nella storia del jazz.
Comincia poi con un giro di note, decise e giocose allo stesso tempo: è un incipit quasi sospeso, suggestivamente incerto, come se le sue mani dovessero far assumere ancora piena forma e identità all’insieme di suoni a cui ha appena dato inizio. Del resto, spesso D’Andrea da un punto di partenza quasi elementare giunge a risultati di notevole complessità. Che il cambio di atmosfere sia una delle colonne portanti del concerto è chiaro sin dai primi minuti: con l’improvviso alternarsi di note gravi e acute, di ritmi rapidi e più meditativi, si passa da momenti cristallini, quasi eterei ad altri dai tratti persino cupi, in un continuo oscillare di dimensioni diverse che non sembra permettere neanche allo spettatore meno esperto di distrarsi. Quello fra le note acute e gravi, in particolare, è una sorta di dialogo fra due anime dello stesso corpo che a volte si sfidano con finezza, altre si uniscono per sfociare in un risultato composito, il quale poi, però, si disintegra quasi subito rigenerandosi in soluzioni nuove. Piano Solo di D’Andrea, dunque, è un’affascinante esperienza di come un pianoforte, se interpellato dalle mani giuste, possa comportarsi quasi come un’orchestra, riesca a richiamare più mondi sonori inattesi e sorprendenti, sempre nel segno del jazz. Daniel Montigiani
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