Federica Lotti
Musica, flauto e contemporaneità. Intervista di Roberto Zanata
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R.Z.: Quale percorso ti ha portato ad accostarti alla musica contem-poranea?
F.L.: Mi sono avvicinata allo studio della musica piuttosto piccola, a nove anni. Dopo due anni e mezzo di solo Teoria e solfeggio (e non so come ho fatto a resistere!) ho cominciato a suonare il flauto, ascoltato per caso fuori della porta dell’aula dove quello strumento veniva insegnato. Alla Scuola Comunale di Musica di Arezzo, dove ero iscritta, era da poco arrivato un giovane maestro, si chiamava Roberto Fabbriciani. Un giorno seguii il suono del flauto, bussai a quella porta ed entrai. Mi venne proposto di sedermi e ascoltare, cosa che feci per tutto il pomeriggio. Quando tutti gli allievi furono andati via, il giovane maestro mi chiese se volevo provare, visto che ero ancora lì seduta curiosa di ascoltare…Così iniziò la mia avventura, per gioco e per caso. Quel mio maestro – anche se ancora io non lo sapevo – era già lanciato nel repertorio contemporaneo, e posso dire di aver fin dalle mie prime lezioni ascoltato molti dei pezzi che erano in fase di studio e che Fabbriciani mi faceva sentire, abituandomi a suoni, grammatiche, gestualità, sensazioni così diverse da quelle di Pergolesi, Donizetti e Bach! Spesso andavo a suoi concerti, e seguendo le performances sue insieme al clarinettista Ciro Scarponi, o al chitarrista Vincenzo Saldarelli , il mondo della musica contemporanea mi sembrò sia strano che attraente, divertente, capace di scatenare grande libertà ma anche di esigere un grande bagaglio tecnico come assolutamente necessario. Il primo pezzo moderno che studiai fu “Density 21.5” di Varèse, me lo ricordo benissimo perché mi veniva chiesto di suonare “più forte che potevo”, e perché era così diverso dal concetto più tradizionale di melodia che invece il debussiano “Syrinx” studiato da una mia compagna ancora esprimeva, con ritmi terribilmente avvincenti e l’uso perfino di percussioni e quei suoni sovracuti…. Sentii che un linguaggio dirompente e per me allora trasgressivo era nelle mie corde, adatto al mio temperamento. Non fu una vera scelta ma un’attitudine scoperta e coltivata. Sia ai concorsi che ai corsi, giurati e docenti al momento della scelta di cosa farmi suonare alla premiazione o ai concerti mi proponevano sempre pezzi moderni. Continuai così con sempre maggior interesse e voracità, fin dal momento dell’acquisto delle nuove partiture trovate nei negozi di musica di Firenze, i mitici Ricordi e Ceccherini. Da Jolivet, a Messiaen fino a Berio e Donatoni e tanti altri per me ancora sconosciuti che scoprivo da sola frugando nei cassetti…e poi, con tanti ascolti dal vivo. Durante il corso con Gazzelloni all’Accademia Chigiana collaborai come esecutrice di pezzi degli allievi della classe di Donatoni. Poi, quasi solo per curiosità, mi iscrissi al Conservatorio di Firenze a un corso annuale con Bruno Bartolozzi, e per me fu un’esperienza fondamentale, nel percorso di una ricerca sempre più convinta e strutturata. Insieme a quel vecchio signore dai modi discreti e dall’orecchio infallibile imparai a ragionare molto diversamente sul suono. Subito dopo iniziai giovanissima a insegnare in Conservatorio, a Pesaro, e tra i miei colleghi legai particolarmente coi compositori, alcuni dei quali sono tuttora fra i miei migliori amici (fra loro c’erano Alandia, Renosto, Samorì, Mirigliano, Fanticini, Ugoletti e Pasquotti che divenne mio marito…). Una svolta, poi, fu la partecipazione alla seconda edizione di Opera Prima, bellissima iniziativa organizzata agli inizi degli Anni ‘80 dal Teatro La Fenice di Venezia (e che purtroppo durò solo due stagioni…). Lì conobbi la maggior parte dei compositori, allora giovani, tuttora rappresentativi delle nostre scuole. Qualche nome? Fedele, Solbiati, Francesconi, Ambrosini. R.Z.: Quali caratteristiche ritieni facciano ancora oggi del flauto un insuperabile strumento di attualità per le sperimentazioni timbriche e sensoriali dei compositori e virtuosi di questo strumento? F.L.: Partirei dalla premessa che quando si inizia a studiare uno strumento è una grande fortuna se ci succede di partire dalla fascinazione che il suo suono genera in noi. Per me tuttora è così.
Nel corso della mia vita accanto al flauto, come studio e ricerca, mi sono sempre più avvicinata all’idea della somiglianza con la voce umana. Non solo il respiro quindi - il “flatus”- che esprime la forza vitale e l’energia primordiale, ma anche quello che chiamo “lo strumento interno” – labbra, cavità della bocca usata come camera acustica, cavità nasali e paranasali per la risonanza. Modificando forma e dimensione dello “strumento interno”, al pari dei cantanti con vocali e consonanti cambiamo il colore e lo spessore al nostro suono. Ecco, per me queste caratteristiche rappresentano tuttora il maggior motivo di interesse verso il mio strumento. Mi diverte molto sperimentare gli incroci sovrapposti fra voce e suono, e in generale preferisco quei modi di pensare la musica che sfruttino timbri e sonorità in grado di creare suggestioni, immagini, allusioni, emozioni percettive profonde, che agiscano su aspetti psichici. Aggiungo che le esperienze fatte lavorando con l’elettronica hanno ampliato gli orizzonti: mi hanno reso più consapevole di ogni minima azione, delle caratteristiche acustiche delle diverse situazioni performative, del confine che si pone sempre un po’ più in là. R.Z.: All’interprete è affidato un ruolo di grande responsabilità, oltre all’imperativo di fuggire la banalità e l’ovvietà che annientano l’interesse e negano la curiosità. Tu come ti poni rispetto a questo compito, se di compito è giusto parlare? F.L. : Parlerei di “compito” dell’interprete riguardo alla responsabilità di rendere sempre al meglio possibile un buon servizio alla musica, di trasmettere correttamente un pensiero, di fare da tramite tra un’idea - scheggia di un mondo sonoro, di forma e timbro – e l’ascolto del pubblico. Rifuggire dal banale e dall’ovvio va bene, ma attenzione: potrebbe essere fine a se stesso. Abbiamo spesso dimostrazioni di esecuzioni in cui il narcisismo abbonda in gran quantità…o, all’opposto, performance fredde e poco coinvolgenti. Una certa gestualità, che scaturisca genuina dalla capacità espressiva dell’interprete, invece, può rendere più efficace un messaggio musicale già di per sé denso di significato, di volta in volta ieratica o dionisiaca, diversa per ogni autore. Estro e sensibilità possono valorizzare ulteriormente un’esecuzione, la caratterizzano. E poi una certa dose di empatia, nell’entrare in sintonia con chi ascolta. In fase di preparazione – o anche prima che un’unica nota sia ancora stata pensata e scritta - è decisamente utilissimo poter lavorare a diretto contatto coi compositori, per evitare fraintendimenti, chiarirsi reciprocamente intenzioni e potenzialità, tirar fuori a vantaggio l’uno dell’altro idee e possibilità, stimolando curiosità e senso della ricerca. È un’interazione meravigliosa, si impara molto da tutti. Quindi, oltre a esercitare un “compito” potrei dire che ci si dedica a una interessantissima “vocazione”. R.Z.: In quali avventure e collaborazioni ti stai attualmente cimen-tando? F.L.: Col pretesto del Carnevale, e visto che “semel in anno licet insanire” – ma mi concedo qualche volta in più, veramente! – ho in mente un’idea di performance a sorpresa, in veste di esecutrice, voce e recitante. Sul filo rosso di personaggi alati (falena, Eros, libellule, Hermes, angelo) suonerò e “dirò”, o come il flauto del canto ebraico dal titolo “He’halil” aliterò … Ho poi un progetto più serioso, di cui per scaramanzia – in attesa della conferma sulla realizzazione, visto che comporterà un grande viaggio – dirò solo che vuole valorizzare i più recenti frutti della “scuola veneziana” nelle nuove tecnologie, con tre nuovi brani di giovani compositori scritti per me. Ho anche in testa l’intenzione di dare un contributo musicale adeguato al prossimo centenario dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, naturalmente col messaggio di ripudio della violenza e dei danni gravissimi causati da ogni tipo di guerra, dal punto di vista dei musicisti. E continuare coi miei programmi “a soggetto”, sulla Natura, sul dialogo interculturale, sull’amore, sul “pensiero complesso” teorizzato da Edgar Morin…testimoniare attraverso il linguaggio musicale un impegno costante, umanistico, etico, nei riguardi di ciò che ci circonda. R.Z.: Una tua considerazione finale e generale sul fare musica in Italia nel tempo della crisi? F.L.: Penso che si possa concordare sulla constatazione che la famigerata “crisi” con cui stiamo duramente duellando è almeno duplice: quella di carattere economico e quella, conseguente, di caduta verticale del livello medio culturale, frutto della mancanza di investimento (ideale così come monetario) . Analisi serie e documentate sono state fatte da persone ben più competenti di me. Da parte mia , posso affermare che i miei fronti di lotta sono molteplici: come performer, subisco anch’io la diminuzione di occasioni per scarsità crescente di mezzi di enti locali e piccole valorose associazioni; come docente, mi sforzo di offrire ai miei studenti, oltre al fondamentale bagaglio tecnico, un supporto psicologico necessario a fronteggiare le avverse situazioni contingenti; come mamma di due figli che hanno scelto studi in campo musicale, cerco di incoraggiare l’impegno nello studio e nella ricerca di spunti creativi anche alternativi. Il clima culturale generale non è affatto incoraggiante, i danni di tanta mala televisione sulle ultimissime generazioni sono evidenti, il decadimento è palese. C’è stata insufficiente difesa di ciò che invece andava preservato. Ciononostante sono convinta che siamo perfet-tamente in grado, ancora, di produrre buone idee e alta qualità musicale. Questo può sostenerci e mantenerci attivi anche in mezzo alle difficoltà. Vorrei si potesse far leva con determinazione sulle nostre potenzialità, aumentando le collaborazioni serie e sane, senza cadere nel tranello della lotta fra poveri (l’individualismo italiota è sempre in agguato!), cercando di lavorare non a ogni costo ma solo quando la qualità possa essere davvero garantita. Con i partner giusti, insomma, la lotta può essere un po’ meno dura. E darsi da fare, ogni giorno, ognuno dalla sua postazione di combattimento, per contribuire a una rinascita, etica e culturale. Roberto Zanata
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Intervista
a Valeria Cimò di Roberto Zanata WORMHOLES
Una performance audio-visiva di Roberto Zanata Processing
di Roberto Zanata |
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Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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