La stagione messa a punto dall’Associazione Alessandro Scarlatti per l’anno concertistico 2018/2019 celebra degnamente il centenario di questo prestigioso ente morale, faro della cultura musicale nell’Italia centro-meridionale. Ogni giovedì una diversa proposta trova spazio presso il teatro Sannazzaro di via Chiaia aprendo la platea, in alcuni incontri, al pubblico degli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, in mattina: è questo il caso del concerto del pluripremiato pianista Davide Cabassi, andato in scena tra la mattina e la sera di giovedì 10 gennaio scorso. Un direttore artistico che indossa i panni del presentatore, del divulgatore musicale, del moderatore, dell’intervistatore: questo, e molto altro, fa Tommaso Rossi quando presenta il programma a partire dall’interprete, misurando la ripetibilità dell’esecuzione nella singolarità dell’interpretazione. Stavolta singolari echi visivi davano in pasto agli ascoltatori un repertorio giocato tra la pagode impressionista della musica di Debussy, apprezzato nella sua più consapevole ripetizione, prima di lasciare il posto alle delicate e intime composizioni di Schumann, nel numero di tre, tratte dalla raccolta Kinderszenen. I ragazzi in sala sono un pubblico difficile da tenere a bada, specie quando sedano la loro curiosità maltrattando lo schermo di fronte per giocare consumandosi nell’eterna ricreazione ludica; altri invece partecipano emotivamente toccati dal pianista Cabassi che, dopo ogni esecuzione, scalda le sue manone e si intrattiene col pubblico usando parole semplici, dirette, soprattutto lasciando intuire una complessità culturale mascherata da un sincero sorriso. Chiude la mattinata qualche pagina dei quadri di una esposizione di Modest Mussorgsky, in grado di direzionare il nostro telescopio verso i lidi sovietici: una composizione sontuosa, spesso conosciuta nell’arrangiamento per orchestra di Maurice Ravel se non nell’attenta ridefinizione in chiave rock progressivo a cura di Emerson Lake and Palmer. Il confronto col pubblico sala il post-concerto, dando modo di confrontarsi con le solite domande sulla scelta di un particolare strumento (solitamente è il caso a scegliere) fino a più complicate domande su genere, stile, cover, cross over.
Rimetto piede in teatro pochi minuti e otto ore più tardi, al netto di una personale circumnavigazione della città a mezzo pedestre causa diversificate ma costanti insufficienze nel trasporto pubblico. Stavolta cambia totalmente il contesto, sono presenti in sala i soliti abbonati e gli occasionali della sala da concerto richiamati dal prestigio dell’interprete da un lato, dalla complessità del programma dall’altro - si deve alla libertà lasciata a monte dalla direzione artistica all’esecutore, ovviamente responsabilizzato ed entusiasta della sua scelta. Il raffinato programma che Cabassi propone è, secondo le sue parole, “una successione di 4 polittici”, aperto da due celebri pagine come Kinderszenen e Carnaval di Schumann. Il dialogo intimo con lo strumento porta l’esecuzione a raggiungere importanti cime espressive, per un suono sempre ricercato nel controllo emotivo sullo strumento, a scolpire il tempo a partire dalla pressione sonora impiegata nell’avvicinare intenzione musicale e tastiera. Scorrono rapidi i minuti della prima parte. Prima di riprendere, una opportuna segnalazione sul galateo da tenere in sala concerto (le solite raccomandazioni su cellulari spenti, rumori molesti) deve essere sfuggita a quel signore in prima fila, nell’acme del delicatissimo pezzo di Niccolò Castiglioni - vera e propria rarità nella programmazione da sala da concerto - pensa bene di dare corpo al suo personale strumento, una busta di plastica manipolata in tutta la sua effettiva fragranza prima di lasciare il posto a sedere e, verosimilmente, andare via - non senza una occhiatina del pianista. Quadri di una esposizione sono monumentali, specie quando interpretati in modo così sentito, così vigoroso ma mai spudorato, in grado di far emergere quella non meglio imprecisata rozzezza che si confa al singolare discorso musicale di Mussorgsky, forse non troppo elaborato negli stilemi eppure sincero. Davide Cabassi raccoglie minuti di applausi, cosa insolita per un pubblico ligio al dovere del riconoscimento ma mai troppo. Invece raccoglie applausi, consensi, sorrisi prima di rimettersi al pianoforte e congedare il pubblico con un finale quanto mai pop quale Somewhere over the rainbows. Antonio Mastrogiacomo
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