Un incontro che arriva al momento giusto, mentre la mia attenzione per la meccanizzazione del suono e la sua conseguente riproducibilità sono diventati oggetto di alcune riflessioni che in un modo o nell’altro vado facendo in riferimento alla mia attenzione al suono come oggetto culturale - soprattutto in rapporto alla sua declinazione da prodotto industriale. Per questo motivo ho rivolto una e una sola domanda ad Anita, in grado di investigare uno dei punti di contatto tra la storia della musica e la storia dello spettacolo: quello che mette al centro la voce di una star quale marchio da mettere sul disco.
Di qui la mia domanda: in che misura l’intervento della voce della star partecipa alla diffusione del disco? «La voce, nella sua veste di ‘atto sonoro’ linguisticamente codificato, è il primo fenomeno acustico di provenienza umana a trovare posto nel mondo del suono riprodotto: questo avviene per una serie di ragioni, sia di natura tecnica che culturale. Quando Edison, nel 1877, brevetta il fonografo, ne prevede principalmente l’uso come dittafono; oppure, in alternativa, come ‘custode della memoria’, privata o collettiva che fosse. In seguito a tale prospettiva programmatica, i solchi dei primi cilindri fonografici avrebbero potuto dunque anche conservare le voci degli uomini famosi, oppure quelle dei propri cari; tali voci avrebbero potuto poi risorgere a piacimento, in un futuro prossimo o remoto che fosse. Dunque la musica – e con essa la stessa musica vocale – è un’opzione secondaria, se non addirittura marginale. È solo nei primi anni del Novecento che si determina in maniera sempre più chiara l’identità culturale dei supporti correlati agli strumenti di riproduzione del suono, che fossero essi cilindri fonografici o dischi grammofonici. Tale identità si attesterà quasi del tutto sulla musica, appunto, e prevalentemente (almeno all’inizio) sulla musica vocale. Le ragioni, si è accennato, sono anche di natura tecnica: nell’Era Acustica, terminata a metà degli anni Venti, occorreva una fonte sonora che potesse essere diretta con potenza verso la tromba d’ingresso delle apparecchiature di registrazione e il diaframma contenuto al suo interno; solo in tal modo, con la sola forza delle sue vibrazioni, si poteva realizzare l’incisione del suono su cera. La voce umana aveva tali caratteristiche; alcune voci più di altre. Si pensi alla prima star discografica, Enrico Caruso. Grazie a Caruso – che inciderà i suoi primi dischi nel 1902, agli albori dell’industria del suono riprodotto – il mercato si estende verso territori che si amplieranno progressivamente: quelli del disco come oggetto di piacere estetico, oltre che feticcio di memoria o celebrazione dell’effimero. Considerando che inizialmente il rapporto ‘esibizione dal vivo/esibizione registrata’ non poteva determinare il valore di mercato dell’interprete (rispetto a periodi ben più recenti in cui quanto impresso su vinile o su CD poteva condizionare l’attività dal vivo dei musicisti), si può affermare che la presenza delle prime star abbia sicuramente dato impulso al mercato discografico e alla diffusione del disco, contribuendo a definire sempre di più un settore merceologico in crescita; a solo titolo di esempio, si pensi che la Victor americana dedicava alle celebrità dell’inizio del XX secolo un’etichetta di colore rosa, e i dischi avevano prezzi superiori rispetto a quelli di altre serie.» Consiglio ai lettori dunque di mettersi alla ricerca del testo La sirena nel solco, frutto delle indagini sulla diffusione del disco a Napoli - e non solo - di Anita Pesce, edito da Guida nella collana Idenità Sonore, nel lontano 2005. Si tratta di un testo utile per prendere contatto con una storia minore di quelle importanti, quella del disco. Antonio Mastrogiacomo
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