L’evoluzione
delle configurazioni audio nel cinema
delle configurazioni audio nel cinema
Il cinema sonoro nasce successivamente al cinema muto: inizialmente era comune accompagnare il film con una colonna sonora suonata dal vivo. Con l’invenzione del grammofono la musica viene riprodotta senza la presenza di un musicista; bisogna aspettare il 1927: con “Il cantante jazz” si ha il primo sonoro comprensivo di dialoghi sincronizzati all’immagine.
La Kodak e la RCA furono importanti per la diffusione del suono, ma la vera evoluzione ci sarà grazie Ray Dolby. Se la configurazione audio in principio era monofonica, per dare movimento all’immagine gli ingegneri hanno lavorato per raggiungere una configurazione stereofonica. Il più noto è il Dolby Stereo: prevede da due a tre canali audio prediligendo nel monitor centrale la voce. L’obiettivo è di rendere sensazionale l’esperienza dello spettatore, di renderlo partecipe. Prima di arrivare agli attuali standard di audio multicanale, la Dolby ne ha progettati diversi: Dolby Stereo Spectral Recording Dolby Surround, Dolby Surround Pro Logic II, fino ad arrivare al più utilizzato, il Dolby Digital all’inizio degli anni ’90. Quest’ultimo può lavorare da un minimo di 1 a un massimo di 7 canali audio digitali; lo schema più comune è il 5.1 - i 5 canali sono: anteriore destro (R) anteriore sinistro (L), centrale (C), surround destro (SR), surround sinistro (SL) più un ulteriore canale destinato alla sola riproduzione delle basse frequenze (canale LFE - Low Frequency Effects); aggiungendo altri 2 canali si può avere il 7.1. Tra il mono e lo stereo ci sono stati altri tipi di diffusione come il Fantasound, inventato appositamente per il cartone animato della Disney “Fantasia” dagli ingegneri della RCA: era possibile far coesistere sulla stessa pellicola tracce parallele e indipendenti e aprire nuovi scenari verso la registrazione multipla di sorgenti sonore catturate da differenti angolazioni, consentendo all’ascoltatore una localizzazione spaziale dei segnali acustici sino ad allora sconosciuta. La vera rivoluzione è avvenuta nel 2012 con la codifica Dolby Atmos: a differenza dei precedenti non si lavora più per canali ma per oggetti audio, ai quali si può assegnare una posizione nello spazio in fase di post produzione grazie ai numerosi altoparlanti disposti persino sul soffitto. Il sistema si occupa anche dello spostamento degli oggetti audio in uno spazio tridimensionale. Cosa vuol dire gestione sonora ad oggetti? In pratica si ha la traccia di base diffusa in 5.1, 7.1, 9.1, mentre i dialoghi, i rumori non vengono mixati nei canali standard ma faranno parte di una serie di metadati sincronizzati con la traccia audio di base, dove questo oggetto deve muoversi e soprattutto variare la sua intensità al variare del tempo. Il Dolby Atmos gestisce fino a 128 elementi audio arrivando fino a 64 diffusori. Il risultato è un surround a 360° così da creare un’esperienza più realistica. Esempi più comuni sono il suono della pioggia che cade dall’alto oppure un elicottero che vola alle spalle dello spettatore. Il Dolby Atmos consente anche di convertire l’audio in 7.1 o 5.1 dato che sono pochissime le sale provviste di questo nuovo sistema. La prima casa di produzione ad usare il Dolby Atmos è stata la Pixar nel 2012 con il film “Ribelle - The Brave”, nello stesso anno della sua invenzione. Mentre sul mercato sono state messe in commercio altre soluzioni di suono immersivo che lavorano per oggetti audio come Auromax by Barco, il Dolby Atmos trova diffusione anche per sintoamplificatori home theather compatibili con la codifica. Ad esempio Netflix ha messo a disposizione tracce audio riproducibili con il suono tridimensionale. L’evoluzione della tecnologia del suono immersivo ha consentito una maggiore spettacolarizzazione dei film e di pari passo un altrettanto coinvolgimento dello spettatore, ma la domanda è se il suono immersivo è stato accompagnato da film artisticamente potenti quanto la tecnologia utilizzata. Mirjana Nardelli
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