La ricerca sullo strumento
nel progressive rock italiano degli anni ‘70
nel progressive rock italiano degli anni ‘70
Nell’ottobre del 1969 viene pubblicato in Inghilterra In The Court Of The Crimson King, il disco di debutto dei King Crimson, che viene considerato all’unanimità come il primo vero album di rock progressivo. Nel giro di un paio di anni il progressive attecchisce anche in Italia, in parte grazie all’influsso degli antesignani del genere sulle giovani band italiane (si pensi soprattutto al rock barocco di Nice e Vanilla Fudge), in parte spontaneamente, seguendo lo “spirito del tempo” e interpretando i cambiamenti in atto nella società. Dal beat ingenuo della metà degli anni ‘60 si giunge, tra il termine dello stesso decennio e l’inizio di quello successivo, a una forma evoluta e contaminata di rock, allora ingenuamente chiamata “pop” dai critici nostrani.
Se il sottotitolo del Pop-Rock Meeting del 1972 a Novate Milanese parla già di Progressive Music in Concert, è con l’articolo del 1974 di Marco Ferranti per la rivista Ciao 2001 che vengono espresse le prime perplessità riguardo all’inadeguatezza del termine “pop” per definire quel mondo musicale. Si tratta in realtà di un calderone troppo grande e variegato perché sia possibile conferirgli un’etichetta esauriente; tutto sommato il termine “progressive” risulta essere il più appropriato per delineare i contorni di una musica che, nel suo guardare in tutte le direzioni dello spazio e del tempo (la musica eurocolta, dalla polifonia medievale alle avanguardie del Novecento; il jazz, il repertorio popolare italiano e non solo), punta al superamento e alla rottura degli schemi precostituiti della musica leggera. Lungi dal rappresentare un mero scimmiottamento del genere da poco nato in Inghilterra, il rock progressivo italiano convoglia in sé tutti i numerosi e contraddittori stimoli a cui era sottoposta la nuova leva dei musicisti italiani. Il pacifismo dei figli dei fiori deve subito fare i conti con l’aggressività e la tensione generata dalle stragi di stato ad opera del terrorismo rosso e nero nei primi anni di piombo: nello stesso anno, il 1971, si assiste quindi al pacifico e idilliaco festival musicale organizzato dalla rivista Re Nudo a Ballabio e ai disordini del Vigorelli di Milano, teatro dell’unica esibizione dei Led Zeppelin in Italia che si risolse in violenti tafferugli tra le forze dell’ordine e gli autoriduttori che non volevano pagare il biglietto. Questo clima così confuso genera un’enorme varietà di proposte musicali: alcune band decidono di suonare una musica “da battaglia”, che scuota, spiazzi e inviti alla partecipazione attiva l’ascoltatore (gli Area su tutti); altri decidono di insistere sui valori dell’ideologia hippie, come gli ambientalisti Blocco Mentale, autori di un prog dalle atmosfere bucoliche; altri preferiscono non occuparsi dell’attualità e concentrarsi sulla potenza evocativa della musica (il Balletto di Bronzo di Gianni Leone). È quindi naturale che ogni formazione cercasse di caratterizzare il proprio stile, e il modo più immediato per farlo, allora come adesso, era lavorare sul sound. Spesso ciò ha portato i musicisti a sperimentare per cavare fuori nuove sonorità dal proprio strumento, e in alcuni casi si è persino giunti a forme di vero e proprio artigianato musicale. Un esempio significativo è quello del chitarrista Danilo Rustici, che insieme al cantante e amico Lino Vairetti fondò prima i Città Frontale e in seguito gli Osanna. Prima di intraprendere l’esperienza del gruppo, i due avevano accarezzato l’idea di esibirsi in coppia proponendo un’elettronica “fai da te” con uno strumento particolare: Rustici era stato in grado, grazie alla sua formazione da perito elettronico, di costruire un synth con oscillatori e filtri dentro una confezione di brandy Stock ‘84. A detta di Vairetti, già da qualche tempo il chitarrista stava mettendo a frutto i suoi studi fabbricando strani strumenti musicali e modificando chitarre e pedali in suo possesso. In altri casi erano le ristrettezze economiche a stimolare la creatività dei musicisti nella creazione e/o manipolazione degli strumenti. Nel loro debutto Dolce Acqua i Delirium di Ivano Fossati utilizzano gli espedienti più ingegnosi per dotare di nuove sonorità la propria musica, come costruire un amplificatore Leslie con le scatole della lavatrice o montare anellini di metallo sulle corde della chitarra per emulare il suono del sitar. Anche in fase di registrazione le band non potevano sfruttare la tecnologia avanzata degli studi inglesi e americani, che all’epoca vantavano già 24 o addirittura 36 piste. Gli studi della Ricordi, ad esempio, possedevano registratori a 8 piste, e un gruppo come il Banco del Mutuo Soccorso dovette lavorare molto per raggiungere il giusto equilibrio con i pochi mezzi a sua disposizione, ma riuscì con la sua inventiva a sopperire a ogni mancanza: nel primo album del 1972, il famoso “salvadanaio”, il tastierista Vittorio Nocenzi utilizza l’oscillatore dello studio di registrazione alla stregua di un sintetizzatore Moog, strumento che avrebbe acquistato soltanto l’anno successivo. Non era insolito per il Banco del Mutuo Soccorso sperimentare tecniche esecutive alternative e adottare soluzioni fantasiose per arricchire il proprio sound: nella suite del primo album, Il Giardino Del Mago, il clarinetto è filtrato dal pedale wah-wah; nello stesso brano il chitarrista Marcello Todaro suona la chitarra con l’archetto del violino; nella traccia conclusiva del concept album Darwin! una rumorosa asta di microfono viene invece utilizzata per riprodurre il cigolio di una pesante ruota di pietra. Ma forse la trovata più interessante, non tanto per la resa sonora (comunque molto efficace) quanto per il concetto che ne sta alla base, è quella escogitata nella suite Canto Nomade Per Un Prigioniero Politico dall’album Io Sono Nato Libero. In un passaggio del brano è possibile udire un rumore indecifrabile e disturbante: il pianista Gianni Nocenzi lo ottenne piazzando dei microfoni nel suo pianoforte a coda e versando sulle corde cinque chili di chiodi di carpentiere, filtrando poi il suono risultante tramite un sintetizzatore artigianale. Se per quanto riguarda la fabbricazione di strumenti originali è immediato il riferimento all’eccentrico compositore americano Harry Partch, artigiano formidabile che con le sue invenzioni tentò di superare i limiti del sistema temperato occidentale; nell’ambito di quelli che vengono detti “strumenti preparati” la massima autorità è invece John Cage, mostro sacro a cui il Banco dichiara di essersi ispirato, in modo certamente un po’ naif, per la trovata dei chiodi. Il compositore statunitense sviluppò e diede lustro alla tecnica del piano preparato, che consiste nell’introduzione di oggetti in metallo, plastica, gomma etc. tra le corde del pianoforte per alterarne i parametri del timbro. L’uso di questa tecnica era stato in origine stimolato dalla necessità di ricreare, nello spazio di una piccola sala, le sonorità un’orchestra di percussioni; successivamente Cage si rese conto del carattere aleatorio della musica generata da questa pratica: il compositore decide come lo strumento dev’essere preparato, ma non è in grado di prevedere con esattezza il risultato sonoro dell’esecuzione. A questo concetto si ispirano gli Area, una delle band più all’avanguardia della scena italiana degli anni ‘70, nella presentazione al festival del Parco Lambro del 1974 della performance situazionista dal titolo Caos (Parte Prima), che per la sua natura di evento non trovò mai spazio su disco. Al pubblico vennero dati due cavi, con i quali poteva decidere di toccarsi e di chiudere così il circuito collegato al sintetizzatore di Paolo Tofani. Il suono veniva dunque modificato dalla resistenza all’elettricità dei corpi delle persone. La band perdeva il primato della produzione di suoni a scapito dello spettatore, che diventava di fatto uno strumento musicale vivente. La voce degli Area, il greco Demetrio Stratos, ha un ulteriore, imponente merito per quanto riguarda l’indagine in questo campo. Al cantante si deve infatti una seria ricerca sulla voce e sulle sue infinite possibilità, lavoro che sfortunatamente non poté ultimare a causa della sua tragica prematura dipartita nel 1979 ma del quale l’album Cantare La Voce (1978) rappresenta comunque un’ottima summa. Grazie all’esercizio costante e allo studio delle tecniche del canto armonico mongolo, Stratos fu in grado di produrre e immortalare su disco timbri inauditi, a volte gutturali (Criptomelodie Infantili), altre acuti, in emulazione di uno strumento a fiato (Flautofonie); arrivando fino all’emissione di due o anche tre suoni contemporaneamente (Investigazioni: Diplofonie E Triplofonie). Si tratta, a mio avviso, del più grande risultato ottenuto dal progressive italiano nell’ambito della ricerca sugli strumenti musicali. Manlio Palmieri
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