Sei domande a Salvatore Murru,
direttore del Coro di voci bianche del 48°circolo didattico di Napoli
direttore del Coro di voci bianche del 48°circolo didattico di Napoli
AM: Quando, dove, come e perché nasce l’esperienza del coro?
SM: Comincerei dal perché. Quella corale rappresenta un importante, importantissima esperienza a prescindere dal valore artistico/musicale. Gli studiosi confermano in modo inequivocabile l’importanza che il canto, e il canto corale nello specifico, rappresentano per la dimensione cognitiva, emotiva, affettivo-relazionale di ciascun individuo. La letteratura scientifica è sovrabbondante di specifici studi fatti nel merito. Questo già di per sé sarebbe ragione sufficiente a giustificare l’azione di un maestro di scuola primaria che abbia specifiche competenze musicali. A queste ragioni, tuttavia, se ne sommano altre, diciamo, più peculiari: in moltissimi Paesi occidentali con una tradizione musicale rilevante l’attività corale è obbligatoria in ogni struttura scolastica, spesso con il risultato che ogni paesino ha la sua compagine corale. Proprio questa estate, un mio carissimo amico musicista, visitando la Cornovaglia è rimasto affascinato, oltre che dalle sue bellissime cattedrali, proprio dai cori di voci bianche che animavano quotidianamente questi luoghi. AM: Perché un Paese come il nostro, che ha un passato musicale sicuramente più importante e glorioso del suo presente (ma questo, purtroppo, riguarda la cultura in generale) dovrebbe essere da meno? SM: Da alcuni anni, così, sembra essersi risvegliato con una serie di azioni partite dal basso (quasi sempre singole iniziative di docenti, spesso supportate da capi di istituto lungimiranti) una rivalutazione dell’attività corale. Questo è esattamente quello che è accaduto nella nostra realtà scolastica. Comunque, a dispetto delle inesistenti risorse economiche destinate a chi voglia organizzarsi, qualcosa comincia a muoversi anche a livello istituzionale: da diversi anni, in una stanza del MIUR, opera un comitato scientifico che si occupa specificatamente dell’apprendimento pratico della musica nelle scuole. Questo organismo voluto e presieduto dall’ex Ministro Luigi Berlinguer prova ad attivare iniziative volte a dare più voce alle singole e disomogenee esperienze sul nostro territorio. Tornando a noi, che ci muoviamo in suddetto contesto, in modo stabile, da circa dieci anni è nata e continua felicemente l’attività corale destinata a bambini e ragazzi. Già, perché quasi sempre il valore riconosciuto dagli stessi è tale da determinare la voglia di continuare a cantare anche dopo che hanno lasciato la scuola primaria. E così, con cadenza settimanale, a gruppi determinati per tessitura vocale, teniamo a scuola, in un laboratorio strutturatosi nel tempo (e sulla base delle relative esigenze), le nostre lezioni di canto corale. Vorrei solo aggiungere che attualmente mi occupo di due cori, considerato che l’esperienza delle prime leve (gli ex allievi che oramai non si possono più considerare voci bianche) continua e si somma a quella dei piccoli, appartenenti alla scuola. AM: Come reagiscono i bambini quando capiscono che la voce può essere impiegata come uno strumento musicale? SM: Come me! Nel senso che questa è stata una scoperta della quale me ne sono appropriato io, per primo. Da compositore mi sono posto subito il problema di coniugare in qualche maniera la mia funzione di docente con quella, appunto, di musicista. Ho presto realizzato che avere di fronte a me trenta o cinquanta ragazzi significava avere, potenzialmente, un’orchestra di voci, da dirigere e per la quale, magari, poter scrivere (ed è così, per inciso, che sono nate alcune mie composizioni). Questa conquista l’ho vissuta con entusiasmo e l’entusiasmo, come si sa, è contagioso. Tra l’altro, proprio questo accostamento mi ha permesso di insistere molto con i miei ragazzi sul fatto che, come uno strumento musicale vero e proprio, la voce ha possibilità enormi ma va trattata con rispetto e non usata male, come troppo spesso, specie in territori come il nostro accade! I ragazzi si nutrono di queste idee e imparano ad avere grande considerazione per quello che sanno essere il loro prezioso strumento. Per non parlare, poi, della scoperta della polifonia: è una magia della quale godono in modo evidente e il cui esercizio permette di comprendere in modo empirico molti concetti musicali come consonanza/dissonanza, isoritmia/polifonia, tessitura vocale, e altro. Queste conoscenze consentono loro di sviluppare in modo organico il piacere del canto e un uso più corretto e consapevole della voce nelle sue varie funzioni in una prospettiva più squisitamente tecnica. Nel tempo, imparano, infatti, a gestire con sempre maggiore competenza il loro “strumento” riuscendo a distinguere e usare la voce di testa, la voce di petto, sfruttare le molteplici possibilità legate all’agogica e a tutte quelle altre che la voce umana può offrire nel contesto musicale. AM: Che tipo di pedagogia musicale propone questa esperienza? SM: La didattica, naturalmente, tiene conto di vari approcci metodologici che si rifanno ad una pedagogia non solo musicale in senso stretto. In questo sono aiutato molto dal fatto di essere docente di scuola elementare (come un tempo era chiamato questo segmento scolastico). Bruner, Piaget, Vigotskij, sono stati i miei maestri, coloro sui quali ho fondato la mia formazione di docente. Un po’ più recentemente, psicologi come Howard Gardner, hanno messo in risalto come il concetto di intelligenza, che noi per molti anni abbiamo limitato e associato a quello di abilità logico-matematiche, è invece necessario implementarlo con una più ampia e profonda visione delle capacità intellettuali, tra le quali l’intelligenza musicale ha uno spazio tutto suo. Da un punto di vista più strettamente tecnico, l’apporto di musicisti preoccupati di impostare prima per sé e i propri studenti una didattica efficace, ha permesso di esplorare con mente aperta le varie modalità che meglio si accordano con i criteri di continuità e costruzione graduale delle conoscenze e delle capacità dei singoli. Mi vengono in mente Zoltan Kodaly, Émile Jaques-Dalcroze o più recentemente Edwin Gordon. Provo a seguire quello che loro hanno insegnato. Comunque, un approccio multiplo a tutte le esperienze da loro maturate è, secondo me, il migliore. Ma in questo non mi invento nulla: è un qualcosa che può testimoniare con senso di responsabilità chiunque lavora nel settore dell’insegnamento. Sono, tuttavia, uno di quelli convinti che lo strumento più affilato è l’esperienza personale del docente: è la migliore arma. L’intuito se è buono, premia! AM: In che contesti un’attività del genere può trovare spazio? SM: Abbiamo iniziato circa dieci anni fa con un piccolo gruppo di ragazzi. All’inizio, al di fuori delle mura scolastiche, ci si muoveva qui e lì, più che altro, per concorsi e qualche rassegna. È stato in queste circostanze che il coro ha cominciato a muovere i primi passi. Ciò nasceva dalla naturale voglia di confrontarsi, nel senso più sano del termine, con altre realtà sia locali, sia al di fuori del proprio ambiente di appartenenza. Nel tempo abbiamo trovato numerose opportunità per esprimerci. Penso, ad esempio, alle varie occasioni in cui abbiamo preso parte a eventi promossi dal Comune di Napoli e in particolare dagli assessorati alla cultura, alla scuola, alle politiche giovanili (Maggio dei monumenti, E … state a Napoli, Giugno Giovani e altre); o anche a manifestazioni create ad hoc e debitamente pubblicizzate, come il concerto che insieme all’orchestra dell’istituto R. Bonghi abbiamo realizzato nell’Auditorium di Castel Sant’Elmo nel giugno 2016. Alla fine, ai più non fugge che una cosa é il coretto scolastico (e non uso l’espressione in senso dispregiativo) che deve sicuramente avere una sua collocazione e ragion d’essere, altro é (per contenuti, finalità ed esiti) l’esperienza corale che, pur partendo dal contesto scolastico, intende porsi come importante momento di crescita, di riflessione sulle possibilità espressive e di formazione personale. E quindi, per rispondere alla domanda, sono convinto, per esperienza, che un’attività del genere possa e debba trovare sicuramente ampi spazi. AM: Che valore ha questa esperienza per la comunità di Barra? SM: Barra rappresenta parte della periferia est di Napoli. Come, e ancor più, delle altre periferie, entrando nel tessuto sociale, ci si accorge presto delle enormi contraddizioni vissute quotidianamente da questo territorio. Certo, di fronte ai più ameni luoghi della nostra città, la prima impressione, arrivando qui, è molto negativa. E nessuno può negare che le condizioni sono quelle di una precarietà continua, di cui si ha chiara percezione. Eppure c’è tanta, tanta bellezza, che non sfugge a occhi più attenti e che cerca con forza di opporsi al degrado. Proprio essa, deve essere custodita e salvata, e le occasioni per farlo diventano sovente, per questi ragazzi, un’opportunità. La storia del coro, della sua nascita e del consolidarsi dell’esperienza maturata nel tempo è una bella storia da raccontare (magari in altra occasione). Lo dico sempre: potrebbe essere tranquillamente il copione di un film. Essa ha reso, come dire, tridimensionale il termine “comunità”. Quello che posso dire, per esperienza personale è che sento di aver seminato molto ma raccolto di più, ne sono certo. La crescita è stata autentica, per me, in primis. Essa va aldilà degli aspetti strettamente musicali, e rientra in un esperienza molto coinvolgente di cui la musica è stata un canale. Quando, nei visi di questi ragazzi ho visto l’orgoglio sano, quello attinente al riconoscersi in un ruolo preciso di cui si è consapevoli, allora ho sentito che la scuola aveva realizzato il proprio compito. AM: Cosa bolle in pentola? SM: Tanto, veramente tanto. Per attitudine e formazione sono orientato verso la grande musica, quella definita classica, per intendersi. Ma sono convinto, e anche qua non dico niente di nuovo, che la musica si distingue in bella e brutta, al di là dei generi da cui proviene. Proprio per questo e anche per rispetto verso i miei giovani studenti sono contento che affrontino e abbiano in repertorio brani di vario genere, permettendomi di suggerire loro nel mio piccolo a quali autori far maggiormente riferimento. In questo senso, anche durante quest’anno, ho cercato di ideare e strutturare proposte musicali su più fronti. Le voci bianche si occuperanno, almeno in questa prima parte dell’anno scolastico, di un opera per ragazzi scritta dal compositore napoletano Gaetano Panariello, i cui testi sono liberamente ispirati alle favole di Esopo. Abbiamo il privilegio, di essere inseriti nella programmazione musicale del Teatro “Le Nuvole”, che devo dire, al di là della nostra partecipazione, ha un cartellone veramente invitante per ragazzi e famiglie. L’opera, alla cui realizzazione stiamo lavorando proprio in questi giorni, è scritta per coro di voci bianche, voce recitante e un piccolo ma funzionale organico strumentale, compreso un vivace set di percussioni. Per il resto, parteciperemo come avviene ogni anno a qualche concorso sul territorio nazionale. É prevista, inoltre, una ulteriore collaborazione con il coro di voci bianche del centro di musica antica della Pietà dei Turchini, che ho da poco il piacere di guidare e grazie alla cui collaborazione lo scorso 21 giugno (giornata della musica) abbiamo realizzato un bel concerto sulle scale di Santa Caterina da Siena, presso la sede stessa della Fondazione. Il coro giovanile, invece, si dedicherà a tutt’altro genere. Faremo un immaginario (ma poi anche letterale) viaggio a sud e ci dedicheremo prevalentemente alla musica popolare. In tal senso già lo scorso anno abbiamo “sperimentato” una breve ma felice esperienza con musicisti che se occupano in modo specifico: è stato “amore a prima vista”, pertanto, è una storia che dovrà senz’altro continuare. L’estate ha fatto il resto: davanti a una piacevole cena estiva sullo Ionio, con il mio amico musicista e cantautore Cataldo Perri, abbiamo definito, anche se a grandi linee, una collaborazione dapprima a distanza, poi di persona, che ci porterà, spero, in una full immersion alla scoperta delle nostre comuni radici. Continuerà, allo stesso tempo, la fruttuosa e felicissima collaborazione con l’orchestra dell’istituto Comprensivo Bonghi, un’altra notevole realtà con la quale siamo entrati immediatamente in sintonia perché animata, in fondo, dallo stesso spirito e con i cui colleghi ho un rapporto di sincera stima e amicizia. Cosa faremo assieme? É una sorpresa che non voglio rovinarvi … venite a sentirci! Insomma, buon anno di musica! A tutti. Antonio Mastrogiacomo
Scrivono in PASSPARnous:
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Gianluca de Fazio, Marco Maurizi, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Matteo Castiglioni, Maria D’Ugo, Francesco Panizzo. |
Intervista
a Valeria Cimò di Roberto Zanata WORMHOLES
Una performance audio-visiva di Roberto Zanata Processing
di Roberto Zanata |
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