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Di Dick Dale e grandi onde: cosa rende una musica surf?
Di Dick Dale e grandi onde: cosa rende una musica surf?
Cosa succede se si chiede a qualcuno di pensare alla musica surf nel 2017? Senza volersi appigliare necessariamente a definizioni enciclopediche, probabilmente ciò che viene in mente è il classico tum-ta-ta-tum-ta che la batteria esegue nel 90% di questo genere di brani o assoli di chitarra che dovrebbero ricordare le onde del mare.
Batteria a parte, in principio il principio era proprio quello: proporre una musica in grado di far sentire gli ascoltatori come se cavalcassero le onde, come accade a chi sa fare surf. Non è un caso che la surf music deve la sua nascita a Dick Dale, classe 1937, che pur essendo originario del Massachusetts, è considerato a tutti gli effetti il re della chitarra surf. Gli effetti della sua ricerca si è tradotta in lavori sul riverbero e sulla tecnica del tremolo picking – quella che si può ascoltare in Misirlou, canzone tradizionale di diverse aree mediterranee poi passata tra le mani di Dick Dale e divenuta colonna sonora di Pulp Fiction. Del-Tones, Chantays, Surfaris e Trashmen a parte, con il tempo la musica surf ha conquistato anche coloro che preferiscono non sfidare le onde ma non per questo sono meno amanti dell’ambiente marinaro. È il caso dei Beach Boys che anziché puntare ai virtuosismi chitarristici hanno preferito concentrarsi su armonizzazioni vocali e un tipo di musica che pur riferendosi al surf e alla vita da spiaggia non fanno cavalcare le onde durante tutta la loro discografia – spesso sono infatti “declassati” a beach music. Certo, una cosa non esclude l’altra – a Surf City di Jan&Dean non ne manca una per essere l’esempio perfetto di canzone surf. Ma che senso ha parlare di surf music nel 2017? Non si tratta della scusa di un genere morto e sepolto, anzi. La musica surf è viva e vegeta. L’amore per il revival si incanala soprattutto in quella corrente secondo cui per fare surf basta attenersi alle tematiche da spiaggia nei testi – tuttavia non mancano puristi del genere come i Red Elvisers, che riescono a tenere testa agli antenati degli anni ’anta, e i Mermen (che invece ci riescono un po’ meno). Mentre si cerca di non confondere i revival nati tra gli ’80 e i ’90 con punk-rock uscito malissimo, si incappa in interpretazioni del surf mischiato con altri generi. Basti pensare al punk-surf delle cover dei Ramones – Surf City, Surfin’Bird…- al tentativo dei Clash, Charlie Don’t Surf, e il celeberrimo caso di Pump It dei Black Eyed Peas, in cui il surf è ridotto a base per rap. Negli ultimi anni, anche i numerosissimi gruppi indie hanno deciso di sperimentare col surf, arrivando a costituire ciò che viene chiamato indie surf. Volendo ascoltare qualcosa di questo tipo si incappa ora in band che del surf hanno solo la ritmica piuttosto accelerata, come in Daddy Issues delle Fuck Marry Kill oppure gli alti della chitarra sparati al massimo ma senza lasciar intravedere nessun tipo di ricerca alla Dick Dale, come Dream of Life Think of Death dei Tough Age. Più riusciti sono gli esperimenti di chi ha aderito alla corrente surf con i testi. Se negli ultimi decenni il caso nostrano di maggiore successo è La grande onda di Piotta, di maggiore respiro è stato il successo Let’s Go Surfing dei Drums, un brano la cui celebrità è stata tale da farlo diventare jingle pubblicitario. Ambra Benvenuto
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