Comunico ergo suono
Classe ‘79, pianista e compositore australiano, Anthony Pateras è una delle figure più originali e interessanti del panorama musicale contemporaneo, capace di infondere nuova vita al pianoforte miscelando la pratica compositiva propria della musica classica contemporanea con una sensibilità ad ampio raggio, vicina al mondo dell’improvvisazione, ai detournement del pianoforte preparato e alla visceralità dell’elettronica. Originario di Melbourne ma trapiantato a Berlino ha all’attivo sia lavori di composizione eseguiti nei più importanti auditorium mondiali (da orchestre quali Los Angeles Philharmonic, BBC Symphony, Australian Chamber Orchestra, Percussionists of the
Basel Symphony Orchestra, Ensemble Hiatus, solo per citarne alcuni), sia seminali lavori di improvvisazione con l’ormai leggendario trio Pateras/Baxter/Brown. https://www.youtube.com/watch?v=wQNqmpud580 THYMOLPHTHALEIN MAD AMONG THE MAD (Immediata, 2015) TRACKLIST 1. Awareness Of Time Is An Assault On Time [Prague] (1:57) 2. You Cannot Escape the 20th Century (18:49) 3. Supreme Nothingness (9:49) 4. Mad Among The Mad (13:03) 5. It Doesn’t Kill You, It Stops You Living (14:05) 6. Awareness Of Time Is An Assault On Time [Ljubljana] (1:55) PERSONNEL Natasha Anderson: Contrabass Recorder/Computer Will Guthrie: Drums/Percussion Jérôme Noetinger: Tape Machines/Electronics Anthony Pateras: Piano/Wurlitzer/Modular Synthesizer Clayton Thomas: Double Bass https://www.youtube.com/watch?v=LKasoCQZGIE Analisi del disco. Il suono è fissato in 6 tracce; a prima e l’ultima, di durate evidentemente minore che le altre, ne circoscrivono i limiti. Che non si possa fuggire il 20esimo secolo è un dato ineludibile già all’ascolto dei materiali impiegati, dove il suono come presenza si fa beffa della musica come risultato. In principio serpeggia un’atmosfera orientale per poi affrancarsi tra le pieghe di gesti ritmici attraverso cui tutti gli strumenti in campo dialogano. Come di poter riconoscere degli echi schaefferiani, di una prima musique concrète ancora attiva, oggi. Tutto questa pasta sonora poi prova ad articolarsi nella forma ritmica, cercando un equilibrio che risulta darsi lentamente per non trovarsi mai. La seconda traccia si chiude bruscamente. Non poteva continuare diversamente se non col tessiturale di Supreme Nothingness. L’atmosfera risulta decisamente altra che quella dei primi 20 minuti del disco. Si sovrappongono alle volte piccoli episodi ritmici, ma il suono continua a filare, arricchendosi nelle sue qualità spettrali e nei suoi risvolti timbrici, oltre a un discreto guadagno in ampiezza. Si tratta di una traccia da intendere quasi come un segmento statico, in opposizione a quanto ascoltato. Il lavoro è intenso. Questo andamento va avanti fin quando una nuova mistura si insinua nel discorso, pur lasciando invariate le condizioni compositive. C’è bisogno di un ascolto immersivo, oltre che attentivo, di questa traccia per apprezzarne le infinite pieghe. Inoltre, altro elemento caratteristico è questa gestualità che ogni tanto fa capolino nel tessuto acustico, ché la musica è l’arte del seguito, ma anche del ritorno. E così il pezzo continua con un andamento falsamente piatto, pienamente denso. Siamo alla traccia che dà il nome all’album, la più impro-jazz dell’album: questi strumenti e strumentisti non potevano esimersi da una ricerca in tal senso. Eppure l’accresciuta sensibilità musicale praticabile con gli strumenti digitali crea un flusso incredibile, davvero estemporaneo, eppure fortemente musicale. La bravura del quintetto è proprio nell’eterogeneità che si riscopre coerente e unitaria: ogni intervento di suono elettronico si amalgama al punto da riuscire a emergere, mentre il gioco risulta davvero divertente, spingendosi alle soglie di un cut-up che non pregiudica il flusso improvvisativo. Questa traccia, a differenza che le altre, risulta fresca e ammaliante, forse anche per via di un pianoforte stavolta calato nella sua "dimensione standard". Il lavoro delle percussioni è continuo e, sebbene condannato allo sfondo, è il primo piano su cui si animano tutti gli altri veloci interventi. Dopo un po’, però, per quanto bello tutto, questo gioco si perde, fino a un nuovo inizio con un intervento continuo dell’elettronica. E va avanti così, tra alti e bassi. Ne risulta l'attenzione al microsuono, alla microforma, alla microstruttura, stavolta. Il pianoforte diventa un po’ il mediatore di tutte le istanze formali, scambiandosi di posto con la percussione prima, l’elettronica poi. Inizio percussivo più che mai pdf la quinta traccia dell’album, a riaprire quanto la precedente non aveva chiuso. Un lavoro in poliritmia di elementi diversi che nella percussione ritmica si animano. Gli incastri sono sempre mantenuti costanti con una certa attenzione, e modulano pattern ritmici. Dal lavoro sulla percussione delle percussioni all'entrata di altri strumenti, a segnalare la propria presenza, comportandosi anch’essi in modo altrettanto percussivo. Sale in cattedra il Wurlitzer. Piano piano trasmigriamo da un equilibrio ritmico a una instabilità che corona il suo percorso in una nuova gestualità musicale molto densa, in cui le articolazioni sono prettamente timbriche. Si è trattato di un cambio di scena davvero fantastico. I cambi di inquadratura sono tanti e sempre riconoscibili. Spicca il lavoro sulle campane che prelude il seguente, più articolato, segmento ritmico. Infatti, diverse sonorità si scambiano di posizione; tutto diventa molto nebuloso: una densità cui non sfuggono da un lato un’alta frequenza che si agita caoticamente, dall’altro un loop ritmico. Ma questi due Leitmotiv non abbandonano la scena, anzi. La conquistano sempre di più, in un time stretching che si fa sempre più allungato avvicinandosi alla fine del brano. Preludio della conclusione in cui lo sfondo tessiturale anima i diversi strumenti che pretendono spazio, con un ritrovato guadagno da parte dell’elettronica. Così cresce anche la pressione sonora. E il finale acquisisce un corpo davvero ben definito, in quanto commistione di tutti gli elementi impiegati, eppure sapientemente miscelati. La traccia finale rimescola tutto quello che da poco avevamo sentito, come un ripercorrere velocemente le gestualità che hanno animato buona parte dell’album. Il tutto sempre al massimo della pressione sonora. Da segnalare il fischio finale, con cui si chiude tutto il lavoro. In definitiva, si è trattato di un ascolto piacevole data la diversità di modi con cui sono stati trattati i materiali, evidenziando la responsabilità nell’atteggiamento con cui sono stati raggiunti determinati fini grazie a un uso consapevole e aperto del mezzo strumentale. Antonio Mastrogiacomo
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