Appena fuori dalla stazione Porta Garibaldi di Milano, lo sguardo non può non cadere sul cosiddetto Bosco verticale, un complesso abitativo inaugurato nel 2014 e composto da due grattacieli su cui trovano spazio più di 15.000 piante e 900 alberi che ne ricoprono quasi interamente la facciata. Ideato e realizzato da Stefano Boeri, il Bosco Verticale è stato premiato per due anni di fila come grattacielo più bello del mondo.
Questa la motivazione ufficiale del record 2015: “Il Bosco Verticale è un esempio unico nell’utilizzo del verde in altezza e in proporzione. La “facciata vivente” dell’edificio (…) svolge il ruolo di interfaccia attiva per l’ambiente circostante. Ciò che rende l’idea eccezionale è l’azione delle piante, che agiscono come estensione della copertura esterna dell’edificio. La giuria ha definito innovativa l’esplorazione della vitalità del verde su tali altezze.” Il progetto ha ottenuto un successo così straordinario che Boeri ne sta esportando il modello all’estero: entro il 2020, in Cina, il suo studio costruirà un’intera città di Boschi verticali in grado di ospitare ben 35.000 persone. Neanche a dirlo, il vantaggio competitivo delle idee verdi dell’architetto è dato dalle due parole d’ordine del nostro tempo: innovazione e sostenibilità. Innovazione? L’idea di Boeri, tuttavia, non è poi così nuova. Tra i predecessori del Bosco Verticale si possono annoverare, per rimanere in famiglia, la Casa nel Bosco di Cini Boeri, madre di Stefano, costruita a zig-zag per evitare l’abbattimento di alberi; oppure, guardando ad alcuni esempi di green architecture nel XX secolo, le case viennesi di Friedensreich Hundertwasser, coperte da «alberi inquilini» (come definiti dallo stesso architetto) o la Fukuoka Prefectural International Hall di Emilio Ambasz. Andando più indietro nel tempo, si può pensare alla torre Guinigi di Lucca, che risale al XIV secolo e che presenta alla sommità un giardino pensile con sette lecci secolari o addirittura ai giardini pensili di Babilonia, costruiti nel VI secolo a.C. su ordine di Nabucodonosor II. La combinazione di elementi architettonici e arborei ha dunque origini antiche: a meno che non si viva in un eterno presente, è opinabile che l’innovatività del Bosco verticale risieda in ciò. Piuttosto, la sua vera peculiarità è quella di proporsi come modello abitativo sostenibile, e cioè in grado non solo di limitare il proprio consumo di risorse, ma addirittura di “guarire” l’inquinato ambiente urbano. Sostenibilità? Non c’è dubbio che il Bosco Verticale offra un’idea di architettura certamente più attenta all’ambiente rispetto ad un palazzone di cemento. Sembra lecito, tuttavia, chiedersi se un tale modello non tradisca intenti diversi dai buoni propositi ambientalisti. Il Bosco Verticale è costato circa 40 milioni di euro - somma che rientra nei ancora più consistenti fondi relativi alla riqualificazione del quartiere Porta Nuova di cui è investitore unico la Qatar Investment Authority – e il costo di un appartamento nelle torri meneghine si aggira tra i 7000 e i 9000 euro al mq. Questo gran flusso di denaro suggerisce da un lato che l’architettura verde costa e che per la sua realizzazione è necessario mobilitare ingenti risorse e dall’altro che la natura – da risorsa essenziale, pubblica, gratuita – diventa accessorio e valore aggiunto alla costruzione di soluzioni abitative d’elite. Lo sviluppo di un’architettura e di un’urbanistica sostenibili resta un obiettivo essenziale e auspicabile. Sarebbe opportuno, tuttavia, riflettere sulla sensatezza di un modello che, dopo aver verticalizzato le soluzioni abitative, giunga a prendersi la briga di verticalizzare le soluzioni ecologiche. I boschi ci sono già, sono orizzontali, gratuiti e basterebbe rispettarli. Il Bosco verticale, allora, si presenta come soluzione al problema di se stesso, ed è questa la novità. Stefano Oricchio
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