Comunico ergo suono
Senza fare entrare in campo Badiou, possiamo limitarci a osservare molto distrattamente quanto l’arte debba farsi sistema pur di esercitare la sua presenza in quanto manifestazione del senso. Al tempo stesso, avrete notato di certo quanto ricorra al circondarsi di parole - da intendere quali forma comunicativa fortemente simbolica in grado di sopperire distanze ermeneutiche che l’opera, qualsiasi essa sia, non è in grado di ridurre. Anzi.
Quando questo esercizio si fa avanti nel territorio della musica, avverto ancora più stacco che si riversa in un sempre maggior distacco. Mi chiedo per quale motivo sia necessario ricorrere alla letteratura e alla narrativa della parola scritta per rivestire di senso un’operazione musicale. Forse che è l’unico modo per trascrivere una morale quando si scarica la dimensione estetica dell’opera? In passato i compositori e i musicisti hanno fatto tanto poco ricorso alla parola per pubblicizzare la proprio opera, quanto molto ricorso alla riflessione scritta per presentare la propria opera. Per quanto affini, presentare e pubblicizzare sono due dimensioni molto diverse tra loro data la diversa temporalità che le sottende. La presentazione è per sempre, affidata alla responsabilità del proprio gesto; la pubblicità è effimera quanto la riproducibilità della propria azione. In tutto questo, il peso specifico acquistato dalla fotografia nel sedimentare l’azione performativa in un archivio della memoria sempre aggiornato - eppur sempre da aggiornare - rischia di demolire ogni conato di libertà residua: l’arte tanto si fa vanto della libertà a chiacchiere quanto poi scopre la portata decisamente obbligatoria della sua azione. Questa dimensione obbligatoria dell’arte è riscontrabile nel sempre attivo campo della comunicazione. Mi verrebbe da ricordare quanto sia la comunicazione a banchettare al tavolo dell’arte - e non viceversa. E con un ritardo ormai irrimediabile l’unica arte degna di essere commentata è l’arte della comunicazione, in quanto sede di un dialogo tra artista e pubblico. La pratica artistica infatti ha trovato spazio lontana dal pubblico, in stanze segrete dove si anima tutto quello che poi sarà comunicato nella sua parzialità. Solo in questo modo si prepara la comunione di artista e fruitore nell’opera. Si tratta di un discorso valido per le tante arti a disposizione di una cultura di massa che grazie ad esse può volutamente distrarsi e che declineremo con particolare attenzione alla ars musica. Checché ne possano pensare i musicisti - sia le star del pubblico di massa che quelle della musica ascoltata raramente - una sorta di abitudine confeziona la loro prassi quale intervento artistico da comunicare grazie alla rete mediale da sistema dell’arte: un testo pubblicitario, un trailer, una registrazione, un bel book fotografico e via: si va di social network! Quanto è diverso questo sistema culturale da tutta quella dimensione estetica di un suono che accade in quanto informazione, ma non ha bisogno di comunicarsi in quanto tale. Forse che allora la cultura è tale proprio perché ha proprio bisogno di comunicarsi? Antonio Mastrogiacomo
Scrivono in PASSPARnous:
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Intervista
a Valeria Cimò di Roberto Zanata WORMHOLES
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di Roberto Zanata |
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