L’arte di arrangiarsi da soli
Articolo di Antonio Mastrogiacomo
Per molti secoli è stato necessario avere a disposizione degli esecutori acché la propria idea musicale potesse trovare un riscontro effettivo -> ndr, questa roba qui ha deciso della storia della musica fino a un nuovo inizio - a una rinascita da intendere nell’alveo della riflessione vichiana - venuto fuori con l’avvento di una musica tecnologica propriamente detta. Il lettore scrupoloso potrà ravvisare questa ingiunzione anche altrove, ricordando altresì a chi scrive che la dimensione del lavoro di equipe - di un insieme che possa dare corpo a un’idea - ha segnato la produzione della storia delle arti tutte (si veda l’architettura come l’opera di un insieme altamente gerarchizzato). Solo che nella musica questa condizione è più evidente, proprio al suo carattere immateriale. Le piramidi stanno lì. Ma con i cori di Gabrieli come la mettiamo?
Tra le arti, infatti, quella che gode di maggior attenzione da parte delle masse per la sua funzione è la musica. Infatti - non importa l’età - tutti vestono il suono quale costruzione della propria identità. Per musica intendiamo qui tutto quello che trova spazio nel mercato musicale - parliamo infatti di mercato musicale per includere tutti i generi che solo in questo spazio materiale trovano risposta alla loro immaterialità. Ripetiamo in breve: prima / per fare musica avevi bisogno degli altri; oggi / no. Come cambia ed è cambiata la musica, allora e da allora? Tra le tante risposte possibili, ne proponiamo solo una, cioè quella che comprende tutti: chiunque, infatti, può fare musica. Non nascondiamo che nella storia della musica, alcuni compositori (incamminatevi ad esempio verso Varèse) non aspettavano altro che questo: sbarazzarsi degli esecutori, visti quali intermediari tra il pensiero e l’azione - una vera croce, per Diana! Nel riscontrare la lentezza di una storia che viaggia come sulla Sa-Rc nei suoi anni d’oro, riconosciamo che pur siamo arrivati. Quegli arrangiamenti orchestrali di una certa musica non ci sono più. Oggi quegli arrangiamenti lì li realizziamo se e solo se la nostra musica sbarca in teatro. Per il resto, componiamo musica grazie a una macchina. Anzi, deleghiamo alla macchina molta della tecnica musicale per incoraggiare la pratica dell’ascolto a sostenere la produzione. In altre parole, quando bisogna riprodurre una musica, non si pagano più delle competenze esecutive; in linea di massima si fa attenzione alle competenze produttive. L’arrangiamento musicale tecnologico caratterizza ogni brano che sia poi fissato e affidato al mercato. Può intervenire a più livelli, dalla registrazione del singolo campione impiegato alla orchestrazione disposta a mezzo di librerie sempre in aggiornamento. Insomma, questa condizione partecipa della inarrestabile produzione di tracce di suono fissato. Per semplificare la questione basti prendere un qualsiasi cantautore che nel tempo si sia lasciato contaminare dalla composizione 2.0 - una musica non registrata, ma fisiologicamente riproducibile. Provate ad ascoltare questa: https://www.youtube.com/watch?v=xrcm_af6g9I - ho iniziato a ragionare su questo aspetto proprio grazie a Tony Tammaro, che sembra aver registrato meglio di altri cantautori questa possibilità. Allora, le cose un po’ sono cambiate. Ad esempio, l’orchestrazione per una esecuzione live ha assunto un significato diverso che non la sua necessità, come per il passato. Se questa condizione è stata per un po’ di tempo appannaggio dei musicisti (nel secolo scorso), ora che la musica si è spogliata di una serie di competenze implica delicati risvolti per chiunque voglia mettersi a produrre musica. Gli bastano un po’ di software dedicati, una voglia matta e del tempo da buttare. Non è detto non riesca. In ultima analisi, la musica diviene sempre di più un gioco per le masse. Questo accade purtroppo solo in linea teorica. Nella vita quotidiana, giocano il ruolo di attore non protagonista perché ancora non sono state educate del tutto alla produzione del suono. Infatti, l’abitudine le ha educate esclusivamente ad ascoltare - magari, aggiungeremmo. Antonio Mastrogiacomo
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