La musica oggettivata trova spazio: funziona per scandire i ritmi “da catena di montaggio” che muovono l’ultima fase del processo capitalistico, quello che fa disporre le masse della merce, dall’acquisto in cassa in poi. Fin qui tutt’apposto. Effettivamente, proprio la musica commerciale sta in bocca alle cassiere dei supermercati mentre molto meccanicamente danno in pasto i nostri beni di consumo al lettore di codice a barre. Le sinusoidi ad alta frequenza ritmano infatti i nostri acquisti e ci fanno sentire partecipi di questa danza tribale al suon del capitale.
Già Satie aveva predetto una funzione ambientale della musica nei suoi scritti che ritroviamo in Quaderni di un mammifero. Ed anche la sua produzione propone vettorialità che ne compenetrano la scrittura. Poi il discorso si è allargato, facendo breccia nelle consuetudini di noi, altri. Così, la musica trova la sua corrispondenza biunivoca nella diffusione negli spazi, commerciali. Senza dimenticare chi ha pensato la musica in funzione degli ambienti, dichiaratamente (Eno Brian). Sì, perché “chissene” del jazz diffuso negli ambienti radical-culturali; chissene della musica liturgica eseguita nelle chiese. Ci interessa la musica che ci accompagna mentre facciamo compere, che ci anestetizza con la sua pressione sonora mentre aneliamo alla merce nella sua indecifrabile fantasmagoria. Dunque, alzate gli occhi al soffitto se la volete cercare. Vi accorgerete come due sono le soluzioni più battute da chi è in grado di tirar su dei locali perfettamente funzionanti in tempi che fanno invidia a chi invece deve costruire grandi opere pubbliche. Dicevamo, la soluzione a) prevede che siano piazzati degli speaker circolari con rapporto 1 a 4 rispetto alle luci, entrambi con funzione irradiante. Questi diffusori sono posti ad intermittenza nel controsoffitto di ogni piano e fanno vanto di trasparenza. L’altra soluzione, più in vista, pone degli altoparlanti dal non limitato wattaggio negli angoli della struttura, di modo che tutto l’ambiente possa giovare di questa distribuzione nello spazio. Molti di loro diffondono la musica di "radio commerciali" - non nel senso che passano la musica del momento, merito dell’indotto proprio da industria culturale. Infatti, tutte le maggiori case di produzione si sono dotate di una radio che già nell’onomastica riproponga il concept del marchio: passano musica e réclame commerciali ad alta intensità, tutto il giorno, tutti i giorni, in un circuito chiuso della comunicazione. Da quando infatti la musica scorre via web è possibile filtrarla ed incanalarla con una facilità prima impensata, prima impensabile. Con un guadagno per la collettività pari a zero. Ma tanto, non ci facciamo caso più di tanto. Ogni brand ha la sua musica, dal chill-out all’elettronicheggiante, massando per il vintage. E dove lo metti, poi, il latino americano? Per inciso, lo stesso succede anche mentre mangi. Non sia mai che la musica non arredi pure il pasto. Insomma, rivoluzionario potrebbe essere il silenzio, ma è chiaro non possa trovare spazio in questo mondo che ha fatto della sua incessante sonorizzazione motivo di resilienza. Antonio Mastrogiacomo
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