Nell’ultimo mese i Radiohead sono tornati ad essere un gruppo chiacchieratissimo. Anche se teoricamente il loro ultimo disco dovrebbe ancora uscire, più o meno chiunque abbia desiderato ascoltarlo lo ha già fatto. È dai tempi di In Rainbows che la band britannica rende nota l’esistenza di un ultimo lavoro in maniera improvvisa. Nonostante le comunicazioni di date ufficiali dell’uscita del disco in questione su supporto fisico, proprio come è capitato per In Rainbows e per King of Limbs, nel giro di poche ore era possibile scaricare l’album con un tempo di download di poco più di un minuto – illegalmente, ça va sans dire.
La data di uscita ufficiale dell’ultimo lavoro dei Radiohead è il 17 giugno. L’album è stato già recensito praticamente da tutto il mondo, sia perché messo in streaming su diversi siti poco tempo dopo l’annuncio della sua uscita, sia per la sua disponibilità in formato digitale (su Apple Music, Tidal e, udite udite, Spotify). Parlare di “recensioni” circa questo disco sembra quasi inesatto. I Radiohead sono circondati da un’aura grazie alla quale è difficile commentare il loro operato andando dritto al punto, cioè la musica. Pare che per commentare A Moon Shaped Pool non si possa prescindere dai precedenti meriti indiscussi della band. Pare che anche questa volta si debba parlare di un disco prendendo tutto alla larga, facendo un passo indietro rispetto alla musica soffermandosi sul fatto che il contenuto dell’album sembri fortemente influenzato dalle vicende personali di una singola persona della band (il divorzio di Thom Yorke) – come se gli album precedenti dei Radiohead parlassero di scampagnate e festini spensierati. Insomma: i Radiohead sono indubbiamente una band che ha lasciato il segno, tuttavia non è chiaro perché se hanno avuto un’affermazione relativamente difficile, ora tutta la loro produzione debba essere presa per oro colato. Al di là della loro indiscussa qualità, sarebbe opportuno distaccarsi dal contorno e riprendere a soffermarsi su ciò che dei musicisti dovrebbero fare: musica. Non ci vuole nessun sedicente recensore di dischi per dire che A Moon Shaped Pool è ovviamente un lavoro ben fatto. Confezionato a puntino, presenta le sue belle undici tracce in ordine alfabetico, strizzando l’occhio proprio a tutti. Chi ama i pezzi più lenti non può resistere a Daydreaming, così come chi ha amato brani come Feral o Bangers & Mash non può non essere trascinato da Ful Stop. Due regali per i fan, dicono dalla regia: Identikit e True Love Waits – finalmente su disco. Eppure non posso fare a meno di chiedermi se i fan non preferirebbero due nuovi brani, piuttosto. Fare l’elenco della spesa dei brani o rimarcare somiglianze con altri compositori non ha molto senso, con i Radiohead. La ragione risiede nel fatto che ciò che è lampante è che questo disco rappresenta una sorta di affermazione di uno stile ormai definito. Con un po’ di tristezza bisogna constatare che esisteva un tempo in cui era possibile acquistare un disco dei Radiohead chiedendosi: chissà questi qui che hanno combinato, questa volta. Dagli esordi a King of Limbs i Radiohead sono stati in grado di conservare una propria identità continuando a stupire, continuando a lasciare i propri ascoltatori con la mascella sempre più calante. Successivamente, hanno deciso di spostare l’attenzione da trascinanti riff a questa sorta di elettronica fatta di beat secchi, synth con la pala e linee melodiche che da tutto ciò che Thom Yorke può fare con la voce prendono solo la capacità di lamentarsi intonando. Tutto funziona. I Radiohead sono riusciti a raggiungere uno stile che è inconfondibilmente dei Radiohead e basta – uno stile tale da essere quasi un cliché. A Moon Shaped Pool non ha bisogno di analisi dettagliate sui pezzi che lo compongono. È un disco che fa chiedere se l’obiettivo di una band non sia, tutto sommato, diventare un cliché, provandole tutte fin quando non si raggiunge il punto in cui è possibile produrre pezzi in serie, brani in cui all’ascoltatore risulta chiaro dopo pochi secondi chi sta suonando. Tutto sommato, se la musica è anche espressione di un’epoca, è giusto che persino l’ultimo disco dei Radiohead contribuisca al tranquillizzante assopimento generale a cui servono i confortanti tappeti sonori. Ambra Benvenuto
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