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Anna-Maria Hefele e il corpo angelico
del suono Articolo di Francesco Panizzo
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Anna-Maria Hefele e il suo percorso artistico hanno del sovrumano. La si vede qui in diversi video come una persona posata e del tutto confusa con il mondo del quotidiano, ma ciò che la differenzia dal resto della quotidianità è un principio oltremodo oltremondo. Scusate il gioco di parole, Anna-Maria non si limita a sedurre con un fascino che già a molte persone del mondo della musica potrebbe bastare per incalzare il proprio strumento o la propria voce e creare attrattiva e intrattenimento.
No, la Hefele supera queste convenzioni e si ristabilisce in quell’alveo di creatori che esprimono vita profonda e non in forma centripeta. Non seduce intenzionalmente il suo fare, anzi, è decisamente creativo, per quanto questa parola sia relegata alla misconoscenza di troppi. Crea Anna-Maria, non ultimo apporto il suo armamentario di musicista eccelsa, spara le sue “geometrie armoniche” da un’anima quasi androgina. A sentire le sue infinite concretezze sonore si rimane abbagliati. Ma “se l’imago è scarno al vostro occhio scendiamo a rimirarlo da più in basso e planeremo in un galoppo alato entro il cratere ove gorgoglia il tempo”, così cantava Francesco di Giacomo da poco scomparso; pensando al suo In volo è paciere fantastico poetico nell’ascolto di questa donna divina. Le citazioni non si sprecano se collidono col senso, l’irrinunciabile nome in cui trasaliscono menti analogiche e la ratio della identificazione e dei rimandi si fanno strada sgomitando gli abbandoni dell’anima fin da quando ascoltiamo i primi sussulti di grazia prodotti della Hefele: e allora il nome fra tutti spicca spontaneo se riportiamo alla memoria l’immenso Demetrio Stratos e le sue giaculatorie timbriche e sovrumane. Lo studioso e sperimentatore si reincarnerebbe nella bara, come nello stesso suo corpo rigenerato, dopo l’ascolto delle potenzialità di Anna-Maria, un’alta scuola che mette radici in una humus che nasce ovviamente prima della storica voce degli Area, ma ne sublima l’avvento. È un cratere, dunque, il sottobosco palpitante-mondo liturgico della cantante di Salisburgo, fatto di meccaniche catodiche e tele-foniche, un suono che giunge da una dimensione altra benché in questo vacillanti e sempre più raramente consacrate in un corpo vivente, vivono finalmente ancora in un corpo dove, sì, “gorgoglia il tempo” ma anche echeggiano i null’affatto virtuali mondi dall’iperurania nel cozzo geniale con gli inferi delle vibrazioni acustiche. Suoni linguali, vettoriali, gutturali, nasali tutti evocati come spiriti manfrediani e al contempo come flautati da puti celesti si contendono il desiderio del senso, si concentrano nella Magia e rapiscono, stanno al di là della esibizione dell’entertainment e si fanno allora il miracolo, senso del desiderio. Ipertoni o armonie polifoniche, sono la calamita non narcisistica di un valore del corpo, che l’ascoltatore riesce finalmente a diventare e solo ascoltando anche se incredulo, un non di qua di pose esibizionistiche e dove la conoscenza lo asserve fisicamente mettendo in pace le necessità di una infanzia mantenuta. La salmodiante di Salisburgo con una tecnica sublime vola con un’aura angelica. È un angelo Anna-Maria che consulta i ministri del cielo ai piani alti degli acuti e li fionda su bordoni di stabile pragmatismo, quello del suono, del sangue e del corpo del sovrumano. Francesco Panizzo
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