Anna Novello
La ricerca, così definita, è nata nel 2002 ed è tuttora in via di evoluzione e di divulgazione.
Psychodream è una certa traiettoria che Francesco Panizzo ha intrapreso a vent’anni, a partire da Venezia. È un approccio a un fare teatrale, la possibilità di dissolvere i limiti che il linguaggio crea in alcuni o molti soggetti. Panizzo riprende un esercizio piuttosto consolidato nel training di un certo teatro e prevede che un attore bisbigli il testo all’orecchio di un altro attore (alternativamente che questi sia munito di un apparecchio ripetitore con auricolari, oppure che un lettore gli riferisca il testo con un trasmettitore via radio dal pubblico) di modo tale che questi lo ripeta senza seguirne il significato, ma impegnandosi acché non gli sfugga nemmeno una parola. La re-dicitura delle parole è maniacale e rigorosa abilità, come da scriba, una ripetizione, per intero, di frasi a volte suggerite a velocità diverse. In questo modo il regista cerca di far raggiungere lo stato di incoscienza a ogni attore disposto ad allargare questo esercizio per un’intera messa in scena, una sperimentazione raggiunta nella speranza che nell’attore possa scattare quella figura interiore che ognuno porta in sé. Un ottimo tentativo per riuscirci è proprio quello di mettere in crisi il controllo cerebrale delle attività motorie e mnemoniche, che la mente esercita sull’anima e sulla vitalità dell’attuante. Così facendo la parte sinistra del cervello, deputata al linguaggio e alla razionalità, è prettamente impegnata e assorbita dal ripetere le parole del testo sentito. La parte sinistra, invece, quella deputata alla creatività svi-luppa necessità di espressione, vocale e corporea, altrimenti lasciate so-pite. Come Panizzo ci spiega, tale agire sposta l’attenzione dal testo, dalla sua memoria e dal suo significato, al presenziare della consapevolezza del soggetto totale nell’azione vocale dell’attore, nonché alla correttezza, dire-zione e intensità del suono emesso. Il testo viene così esautorato della sua importanza mnemonica e la presenza energetica del Sé dell’attore ha la meglio sulle cineree forme della rappresentazione teatrale. L’attore è dunque impegnato sul fronte del corpo nella ripetizione di un movimento proprio del soggetto e necessario per il personale bisogno di espressione, mentre, nello stesso tempo, la parte sinistra del cervello è impegnata a ripetere ciò che l’orecchio sente e che la bocca ripete nel modo più pulito possibile. Assieme alla compagnia Primo Mobile e ad altri praticanti trovati nel tempo Panizzo ha dato vita a ricerche altrimenti lasciate all’oblio, realizzando, a suo modo, ciò che Carmelo Bene chiamava il “superamento di Lacan”: l’appurare come sia il linguaggio a essere strutturato come un inconscio – di fatto destrutturato – e non viceversa, come asseriva lo psicanalista francese. Oggi, questa sperimentazione si sta affermando con un’interazione nuova, lo Psychodream Theater di Francesco Panizzo e la danza butoh di Chiara Burgio hanno iniziato un nuovo percorso di questo che gli autori non amano chiamare metodo ma approccio alla per formance, dove la voce del teatro si fonde alle movenze del danzatore butoh. Presentazione a Roma, 15 Novembre, 2012 - per NIGHT ITALIA ARK FESTIVAL: Una Gertrude di meno, commemorazione del decennale della morte di Carmelo Bene. Carmelo Bene in scena da morto! Non emulato, non imitato. Un genio che chiedeva gli si facesse il “funerale da vivo”, ora, rivive attraverso la lettura in chiave progressista di Francesco Panizzo, pezzi che hanno fatto l’icona CB e del suo teatro. Un cutup di parti riassunto fedelmente, come pezzetti di fazzoletto di Desdemona, ora frantumato, che tenta di ricomporsi stagliandosi nei dialoghi che il maestro aveva messo in scena per le “sue donne” iconoclasticamente rivalutate: Ophelia, Desdemona, Salomè, Gertrude etc. Diventare Carmelo Bene e morire in scena definitivamente, un atto che è servito, a Panizzo smedesimato, per portare nuova linfa alle ricerche del genio salentino, che il veneto ha rincorso negli ultimi 15 anni. La drammaturgia della per formance proposta a Roma, già dal suo titolo, vuole far luce sull’utopistica pretesa sociale dell’emancipazione della donna, sul desiderio femminile di ottenere il potere e poi morire per questo, come accadde a Gertrude madre di Amleto. Un potere che trasalendo dall’uomo alla donna (come si suol desiderare di questi tempi) non permetterà certo a questa di emanciparsi, semmai di assumere un peso ulteriore, il maggiore, invece, da cui si dovrebbe davvero emancipare; un potere (quello del ministero della cultura) che ha impedito allo stesso Bene di promuovere a pieno le sue ricerche, quelle di una vita. Panizzo, assunto a CB, muore in scena e, Gertrude, interpretata da Mar tina Lo Conte, prova ad animare il pubblico e lo stesso Bene morente in scena mentre viene stretto dal boa di un narcisismo al femminile e strozzato, villipeso e mortificato dalla madre, ancora una volta. Gertrude cercherà di attuare un cambiamento per sé, dopo i suoi fallaci tentativi di realizzarsi. Ripeterà una poesia di Cb l’ultima del suo ‘l mal de’ fiori: Siamo fuor del marcire dentro un sacco. La poesia è precedentemente registrata in un apparecchio posto tra i capelli di Lo Conte. Tra lo sconcerto di alcuni tra il pubblico e forse il rammarico per i veri mestieranti che ripetono a memoria, l’attrice ripete il testo per crearsi un handicap, un guasto alla memoria attuato proprio grazie allo sfruttamento del linguaggio. Uno sfruttamento che inibirà completamente la parte del cervello dell’attore, tutta investita dalla sottomissione all’agire nella ripetizione, lasciando i suoi impulsi girare liberi nell’incavo interiore dei suoi tumulti sonori. Lo Conte cercherà di donare delle perle al pubblico, qualcuna la riescirà pure a dare. Poi, cercherà di far risorgere il figlio Amleto, ma egli è morto del tutto questa volta e alla fine del suo lamento che Lo Conte, questa volta, canterà a memoria, Death no be proud, Panizzo si alzerà da terrà si toglierà il boa e la corda con cui la donna lo aveva avvolto e si struccherà spogliandosi dell’epigona maschera di Carmelo Bene. Guarderà il cielo (CB in cielo) e dirà: Sospira! L’ultima parola della poesia di Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta. Ma è anche un saluto di Panizzo a Bene poiché lo lascia libero dai propri studi di magia (come disse CB in scena quando divenne Manfred, mantenendo, però, quelle stesse peculiarità che erano le stesse di Carmelo Bene, il suo CB sulla schiena); Panizzo esce di scena a Roma, dove CB iniziò la sua ascesa nell’Olimpo dei geni, scende dal palco della cripta dove NIGHT ITALIA ARK FESTIVAL lo ha ospitato e comincia la sua strada con il suo teatro: Psychodream theater; esce senza inchini alcuni, egli non è un attore e lo sa, egli è l’innovatore del Meneur de jeu.
Psychodream è una certa traiettoria che Francesco Panizzo ha intrapreso a vent’anni, a partire da Venezia. È un approccio a un fare teatrale, la possibilità di dissolvere i limiti che il linguaggio crea in alcuni o molti soggetti. Panizzo riprende un esercizio piuttosto consolidato nel training di un certo teatro e prevede che un attore bisbigli il testo all’orecchio di un altro attore (alternativamente che questi sia munito di un apparecchio ripetitore con auricolari, oppure che un lettore gli riferisca il testo con un trasmettitore via radio dal pubblico) di modo tale che questi lo ripeta senza seguirne il significato, ma impegnandosi acché non gli sfugga nemmeno una parola. La re-dicitura delle parole è maniacale e rigorosa abilità, come da scriba, una ripetizione, per intero, di frasi a volte suggerite a velocità diverse. In questo modo il regista cerca di far raggiungere lo stato di incoscienza a ogni attore disposto ad allargare questo esercizio per un’intera messa in scena, una sperimentazione raggiunta nella speranza che nell’attore possa scattare quella figura interiore che ognuno porta in sé. Un ottimo tentativo per riuscirci è proprio quello di mettere in crisi il controllo cerebrale delle attività motorie e mnemoniche, che la mente esercita sull’anima e sulla vitalità dell’attuante. Così facendo la parte sinistra del cervello, deputata al linguaggio e alla razionalità, è prettamente impegnata e assorbita dal ripetere le parole del testo sentito. La parte sinistra, invece, quella deputata alla creatività svi-luppa necessità di espressione, vocale e corporea, altrimenti lasciate so-pite. Come Panizzo ci spiega, tale agire sposta l’attenzione dal testo, dalla sua memoria e dal suo significato, al presenziare della consapevolezza del soggetto totale nell’azione vocale dell’attore, nonché alla correttezza, dire-zione e intensità del suono emesso. Il testo viene così esautorato della sua importanza mnemonica e la presenza energetica del Sé dell’attore ha la meglio sulle cineree forme della rappresentazione teatrale. L’attore è dunque impegnato sul fronte del corpo nella ripetizione di un movimento proprio del soggetto e necessario per il personale bisogno di espressione, mentre, nello stesso tempo, la parte sinistra del cervello è impegnata a ripetere ciò che l’orecchio sente e che la bocca ripete nel modo più pulito possibile. Assieme alla compagnia Primo Mobile e ad altri praticanti trovati nel tempo Panizzo ha dato vita a ricerche altrimenti lasciate all’oblio, realizzando, a suo modo, ciò che Carmelo Bene chiamava il “superamento di Lacan”: l’appurare come sia il linguaggio a essere strutturato come un inconscio – di fatto destrutturato – e non viceversa, come asseriva lo psicanalista francese. Oggi, questa sperimentazione si sta affermando con un’interazione nuova, lo Psychodream Theater di Francesco Panizzo e la danza butoh di Chiara Burgio hanno iniziato un nuovo percorso di questo che gli autori non amano chiamare metodo ma approccio alla per formance, dove la voce del teatro si fonde alle movenze del danzatore butoh. Presentazione a Roma, 15 Novembre, 2012 - per NIGHT ITALIA ARK FESTIVAL: Una Gertrude di meno, commemorazione del decennale della morte di Carmelo Bene. Carmelo Bene in scena da morto! Non emulato, non imitato. Un genio che chiedeva gli si facesse il “funerale da vivo”, ora, rivive attraverso la lettura in chiave progressista di Francesco Panizzo, pezzi che hanno fatto l’icona CB e del suo teatro. Un cutup di parti riassunto fedelmente, come pezzetti di fazzoletto di Desdemona, ora frantumato, che tenta di ricomporsi stagliandosi nei dialoghi che il maestro aveva messo in scena per le “sue donne” iconoclasticamente rivalutate: Ophelia, Desdemona, Salomè, Gertrude etc. Diventare Carmelo Bene e morire in scena definitivamente, un atto che è servito, a Panizzo smedesimato, per portare nuova linfa alle ricerche del genio salentino, che il veneto ha rincorso negli ultimi 15 anni. La drammaturgia della per formance proposta a Roma, già dal suo titolo, vuole far luce sull’utopistica pretesa sociale dell’emancipazione della donna, sul desiderio femminile di ottenere il potere e poi morire per questo, come accadde a Gertrude madre di Amleto. Un potere che trasalendo dall’uomo alla donna (come si suol desiderare di questi tempi) non permetterà certo a questa di emanciparsi, semmai di assumere un peso ulteriore, il maggiore, invece, da cui si dovrebbe davvero emancipare; un potere (quello del ministero della cultura) che ha impedito allo stesso Bene di promuovere a pieno le sue ricerche, quelle di una vita. Panizzo, assunto a CB, muore in scena e, Gertrude, interpretata da Mar tina Lo Conte, prova ad animare il pubblico e lo stesso Bene morente in scena mentre viene stretto dal boa di un narcisismo al femminile e strozzato, villipeso e mortificato dalla madre, ancora una volta. Gertrude cercherà di attuare un cambiamento per sé, dopo i suoi fallaci tentativi di realizzarsi. Ripeterà una poesia di Cb l’ultima del suo ‘l mal de’ fiori: Siamo fuor del marcire dentro un sacco. La poesia è precedentemente registrata in un apparecchio posto tra i capelli di Lo Conte. Tra lo sconcerto di alcuni tra il pubblico e forse il rammarico per i veri mestieranti che ripetono a memoria, l’attrice ripete il testo per crearsi un handicap, un guasto alla memoria attuato proprio grazie allo sfruttamento del linguaggio. Uno sfruttamento che inibirà completamente la parte del cervello dell’attore, tutta investita dalla sottomissione all’agire nella ripetizione, lasciando i suoi impulsi girare liberi nell’incavo interiore dei suoi tumulti sonori. Lo Conte cercherà di donare delle perle al pubblico, qualcuna la riescirà pure a dare. Poi, cercherà di far risorgere il figlio Amleto, ma egli è morto del tutto questa volta e alla fine del suo lamento che Lo Conte, questa volta, canterà a memoria, Death no be proud, Panizzo si alzerà da terrà si toglierà il boa e la corda con cui la donna lo aveva avvolto e si struccherà spogliandosi dell’epigona maschera di Carmelo Bene. Guarderà il cielo (CB in cielo) e dirà: Sospira! L’ultima parola della poesia di Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta. Ma è anche un saluto di Panizzo a Bene poiché lo lascia libero dai propri studi di magia (come disse CB in scena quando divenne Manfred, mantenendo, però, quelle stesse peculiarità che erano le stesse di Carmelo Bene, il suo CB sulla schiena); Panizzo esce di scena a Roma, dove CB iniziò la sua ascesa nell’Olimpo dei geni, scende dal palco della cripta dove NIGHT ITALIA ARK FESTIVAL lo ha ospitato e comincia la sua strada con il suo teatro: Psychodream theater; esce senza inchini alcuni, egli non è un attore e lo sa, egli è l’innovatore del Meneur de jeu.