Bérénice da Jean Racine, di Romeo Castellucci
Articolo di Tiziana Wolozan
Cosa si aspetta lo spettatore che sceglie di andare a vedere lo spettacolo di Castellucci, il cui testo è una riscrittura della tragedia di Racine, e Berenice è interpretata da Isabelle Huppert? Vuole essere sorpreso dalle scelte estetiche del celebre regista, rassicurato dalla notorietà del testo del teatro classico francese, folgorato dalla bravura di una delle attrici di teatro e cinema più amate? Non c’è dubbio, sono nomi importanti quelli che si incontrano in questo spettacolo, con una produzione dai grandi mezzi fuori dal comune, pertanto, se da un lato il risultato è di certo promettente, dall’altro l’aspettativa è tale che può essere facilmente disattesa.
Lo spettatore che vuole ascoltare il testo di Racine a lui caro, ne troverà una versione rivisitata, decurtata. La regina di Palestina è il fulcro dello svolgersi della pièce, impegnata in un persistente monologo, gli altri personaggi non hanno diritto di replica; Tito e Antioco vivono attraverso il movimento dei danzatori Cheikh Kébé e Giovanni Manzo, o talvolta un dialogo si instaura attraverso il testo proiettato sul fondo della scena. Altri personaggi, incarnati da una dozzina di comparse locali, esistono quali, per esempio, rappresentanti delle istituzioni inquietanti mobili ombre sul fondo, celate da un velo, come Filippo Archinto del Tiziano, o ancora denudati congegni dell’apparato infernale volto alla consacrazione del potere e ostacolo all’amore – in apparente ossequio al principio del prevalere dell’interesse generale rispetto a quello personale.
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Colui che vuole beneficiare della ricerca estetica di Castellucci apprezzerà sicuramente il drappeggio di tessuto che circonda la scena, rendendola grandiosa, elegante, leggera e nel contempo imponente, oppressiva, quale sala di un palazzo dai tratti antichi e onirici – una sorta di rovescio di Les Mémoires d’un saint di Magritte – e amerà l’enorme composizione floreale così raffinata che si staglia sul fondo del palcoscenico, sarà abbagliato dalla bellezza dei costumi creati da Iris Van Herpen e capirà meno forse la presenza di una lavatrice – elettrodomestico già divenuto emblematico grazie a Origine del mondo di Lucia Calamaro – e del termosifone già così caro a Daria Deflorian in Il cielo non è un fondale, di Deflorian/Tagliarini - oggetti con un qualche valore simbolico, ma dal contributo non fondamentale.
Chi invece viene a vedere lo spettacolo per la grandiosa Isabelle Huppert, sarà felicemente succube del suo fascino, rapito dalla sua bellezza e dal suo carisma, gradirà il suo lavoro di seria interprete, ma soffrirà nel non poterne fruire appieno, così come nel constatare l’arrancare vocale, dovuto alla deformazione della voce o all’incedere talvolta volutamente goffo e sincopato, nonché la sua potenza tragica soffocata da un effetto farsa che sminuisce la forza della sua degna fragilità nel dolore. L’inserimento in una battuta, a sorpresa, del nome della stessa Isabelle al posto di Berenice, che induce lo spettatore a porsi delle domande sul gioco metateatrale, può essere visto anch’esso come elemento di distanziazione. Racine scriveva nella prefazione di Berenice: “Alcuni mi rimproverarono per quella stessa semplicità, che avevo cercato con tanta cura. Hanno pensato che una tragedia con così pochi intrighi non potesse essere conforme alle regole del teatro. Domandai se si lamentavano del fatto che li avesse annoiati. Mi è stato detto che tutti hanno ammesso che non li ha annoiati, che li ha persino commossi in diversi momenti e che la rivedrebbero con piacere. Cosa vogliono di più? Voglio sperare che abbiano un'opinione abbastanza buona di se stessi da non credere che uno spettacolo che li colpisce e dà loro piacere possa essere assolutamente contro le regole”.
Ecco, forse la parte migliore di questo spettacolo di Castellucci risiede proprio nelle evocative scelte estetiche, nella sobria eleganza e semplicità, e ancora in ciò che la Huppert riesce con la sua sola presenza a trasmettere. Le altre scelte che vanno nel senso del postdrammatico, sembrano invece a volte forzate e non abbastanza giustificate da convincere. “La piccolissima percentuale di oro presente nel corpo umano indica che c’è qualcosa di prezioso in tutti noi, o al contrario che c’è proprio poco di prezioso in tutti noi? Ho capito bene?” questa incoerente domanda posta da una giovane spettatrice ai suoi amici alla fine di Bérénice e che sembrava essa soltanto aver occupato la sua mente fin dal lungo scorrere della proiezione delle percentuali di elementi chimici presenti nel corpo umano in apertura dello spettacolo, ne potrebbe essere un indizio – o uno spunto di riflessione per una diversa lettura della rappresentazione. Grazie anche alla breve durata – un’ora e quaranta circa – questo lavoro non arriva comunque a tediare il pubblico, che però, alla sua uscita in Francia, sembra aver manifestato violentemente il suo dissenso e la sua delusione tramite fischi e invettive di sapore ottocentesco, nonostante Romeo Castellucci sia molto amato oltralpe, quasi divinizzato; in Italia gli spettatori sembrano aver apprezzato maggiormente questo spettacolo, forse anche per il legame meno intenso con il “sacerrimo” testo di Racine. Bérénice
da Jean Racine di Romeo Castellucci Triennale Milano, 4 – 8 aprile 2024 liberamente ispirato a Bérénice di Jean Racine un monologo con Isabelle Huppert e con la partecipazione di Cheikh Kébé e Giovanni Manzo e la presenza di dodici persone locali concezione e regia: Romeo Castellucci musica originale: Scott Gibbons costumi: Iris Van Herpen assistenza alla regia: Silvano Voltolina traduzione e adattamento sovratitoli: Laura Artoni direzione tecnica: Eugenio Resta tecnici di palco: Andrei Benchea e Stefano Valandro tecnico luci: Andrea Sanson tecnico del suono: Claudio Tortorici costumista: Chiara Venturini ideazione trucco e acconciatura: Sylvie Cailler et Jocelyne Milazzo sculture di scena e automazioni: Plastikart Studio Amoroso & Zimmermann direttori di produzione: Benedetta Briglia, Marko Rankov produzione e tour: Giulia Colla organizzazione: Bruno Jacob, Leslie Perrin, Caterina Soranzo contributo alla produzione: Gilda Biasini equipe tecnica in sede: Lorenzo Camera, Carmen Castellucci, Francesca Di Serio, Gionni Gardini stagista costumista: Madeleine Tessier répétitrice movimenti: Serena Dibiase répétitrice memoria: Agathe Vidal amministrazione: Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci consulenza economica: Massimiliano Coli produttori esecutivi: Societas, Cesena ; Printemps des Comédiens / Cité du Théâtre Domaine d’O, Montpellier co-produttori: Théâtre de La Ville Paris, France; Comédie de Genève, Switzerland; Les Théâtres de la Ville de Luxembourg; deSingel International Arts Center, Belgium; Festival Temporada Alta, Spain; Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Italy, Thalia Theater Hamburg, Germany; Onassis Culture - Athens, Greece; Triennale Milano, Italy; National Taichung Theater, Taiwan; Holland Festival, Netherlands; LAC Lugano Arte e Cultura, Switzerland; TAP - Théâtre Auditorium de Poitiers, France ; La Comédie de Clermont-Ferrand – Scène Nationale, France ; Théâtre national de Bretagne – Rennes, France ; Yanghua Theatre, China. Con il sostegno della Fondation d’entreprise Hermès Tiziana Wolozan
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