AL SERVIZIO DELLA FILOSOFIA
e non il contrario Articolo di Tommaso Dati
Uno dei passaggi più importanti che devono poter avvenire in colui che decide di dedicarsi allo studio della Filosofia è quando si rende conto che non è essa a servirgli o servirlo, quanto il contrario, cioè che è lui ad esserle servitore. Quali che siano stati gli intenti o le “causalità” che lo hanno spinto a intraprendere l’indagine filosofica o l’indagine della Filosofia – sempre che questa si possa intendere come terreno di scoperta e non piuttosto come metodologia o sistema d’indagine – avverrà (deve poter avvenire) lo scambio tra le parti subordinate: non più il soggetto che conosce l’oggetto per diletto, curiosità, finalità di qualsiasi tipo o altro, ma l’oggetto che dimostra al soggetto la sua importanza nell’essere conosciuto, terminando così ogni strumentalità soggettiva che l’interessato poteva in essa riporvi, sperarvi. Non sarà quindi più lo studioso a dominare la conoscenza, ma quest’ultima ad imporsi su di esso, e quanto più onesta sarà la ricerca dell’interessato, tanto più interessante sarà la scoperta.
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Come a dire che il mio osservare un quadro (un’opera di carattere artistico) è il frutto della mia intenzionalità (o volontà) di conoscerlo, per scoprire cosa esso sia e cosa questo risvegli in me, finché nella seria osservazione (o contemplazione a questo punto) non verrà superato lo stato soggettivistico per il lasciarsi aprire dell’oggetto nel soggetto, sbocciando in lui un significato più profondo di quello che esso, sempre così costante nel dialogo con l’opera, continuava a porvi, permettendo così, finalmente, al senso intimo dell’oggetto l’operare da sé, in sé, nell’altro: il soggetto. Ciò a dire che deve pur succedersi, perciò avvenire, che colui che avverte interesse in una cosa per motivi personali possa scoprire nella cosa interessi più ampi rispetto ai propri, gli interessi della cosa in sé, dell’oggetto quindi o opera artistica, nel caso dell’esempio prima esposto, a comunicare ultra-soggettivamente se stessa, extrasoggettivamente, al fine di validare, convalidando sé nell’atto “puro” dell’osservatore, la sua verità.
La verità è sempre libera, perciò mai subordinata all’arbitrio di chi la conosce, eppure senza conoscerla essa rimane misteriosa e conoscendola essa si fa per chi la indispone, interpella, quindi perdendo in parte ciò che essa è e che comunica essendo, ma proprio per questo motivo per colui che non si ferma alla soddisfazione dei suoi intenti, interventi, (lo spirito nobile), essa riesce ad affermarsi in ciò che è veramente, in ciò che è in quanto è e non più in quanto è mediata. Nell’Altro essa dice: Lasciami essere ciò che sono, mettiti al servizio della mia verità, e colui che coglie questa richiesta lusinghiera, perde solo apparentemente ciò che con tanto sforzo cercava di guadagnarsi, la conoscenza della cosa, ma recepisce quanto di più importante: l’incontro libero e nuovo dell’originalità e unicità della cosa. La cosa dice: Smetti di dialogare con me, assisti al mio dialogo interno, questo e solo questo è ciò che devi conoscere, il resto non sono io, ma tu, ed è un tu che strumentalizzi per fini che non sono miei, è un tradimento che, per quanto agito con le migliori intenzioni, non dice niente delle mie. Non si conosce un quadro di van Gogh o Picasso o Gauguin o Rembrandt o Bacon o Giotto o chi ne ha più ne metta, perché si conoscono le intenzioni dell’artista, la sua biografia, il suo contesto storico, la teoria del disegno e dei colori o l’anatomia della vista e della psicologia, ma lo si conosce soltanto, nella più alta accezione e solitudine del termine, perché lo si libera da tutto questo: lo si lascia essere ciò che esso è in quanto è in sé, cioè indipendente da ogni “ma” ed ogni “se”. L’arte fugge sempre il suo artista, così come la tecnica il suo ingegnere ed esecutore, il figlio il suo genitore e la conoscenza il suo esploratore, e nasce l’importanza oggettiva di concretizzare ciò che è già concreto, con una testimonianza: Esso È ed io devo rispettare la sua ragion d’essere. Non a caso sorgono spontanee le parole di Walter Benjamin quando della cosa dice che essa chiede all’uomo di dargli il suo nome. Il nome della cosa non è nell’uomo che è capace di nominare, essa è inscritta in se stessa, e compito dell’Autore né distruttore né creatore, ma semplice mediatore, è di affermarla: farsi autore della sua autorità! Dice sasso, l’uomo, del cuore, ed allora è poeta, e dice sasso, l’uomo, del sasso quando è nella tradizione del linguaggio natural-pragmatico, ma dà al cuore o al sasso il suo nome solo quando batte o si irrigidisce in esso, non perché si immedesima in questi quanto perché coglie in essi, di essi, la loro verità: verità non sta in nient’altro che in sé e solo l’arrendersi a questo sé consente l’incontro con la sua essenza. A questo proposito quanto è naturale uccidere quando veniamo uccisi? Quanto è naturale per un palestinese uccidere un israeliano e per un israeliano uccidere un palestinese? Quanto è, questa identificazione con ciò che siamo, fallace e lontana dalla verità? È nel palestinese che interrompe questa immedesimazione con sé e la tradizione di sé e nell’israeliano che compie lo stesso, che si riconoscono entrambi essere la stessa cosa: umanità, vita; la qual VITA è in essi qualità distintiva di entrambi, non l’essere appartenenti ad una cultura o un’altra, ad una religione o un’altra, ad uno Stato o un altro, ma solo e solamente nell’essere veramente in ciò che li definisce non restrittivamente ma ampiamente: LA VITA; meritevole di attenzione e rispetto, giacché questo chiede la sua essenza. Non si può, ma si deve, chiedere a chi si crede di essere ciò che è perché questo appare come “naturale”, di snaturarsi da questo arbitrio, dalla sua ideologia, per incontrare la sola verità che li accomuna, rendendoli identici: VITA e VITA soltanto; questo il PRINCIPIO che merita attenzione, tutela, affermazione, e tutto ciò che lo nega, checchessìano le giustificazioni, è solo obnubilamento della verità - distanza dalla realtà effettiva. In questo senso la Filosofia non può essere uno strumento, perché ogni strumento ha il fine di colui che lo idea e/o adopera, ma se la Filosofia è fine a se stessa e in questo senso non serve a niente perché non è al servizio di niente e nessuno, solo nel riconoscerle questa unicità e importanza si deve poter servirla, perché ciò conduce ad una reale e categorica interruzione di ogni errore di calcolo, logica, intenzione o addirittura intuizione: non è ciò che dice la mente la verità, perché essa mente sempre, ma neanche è nella pancia la verità, impegnata com’è a digerire continuamente le menzogne del pensiero, è piuttosto nell’astinenza, NELLA FAME si trova l’indigestione di ciò che è lontano della verità, quindi la verità stessa. Smettere ogni tentativo di somministrazione alla cosa le proprie strumentalizzazioni, per quanto “naturali” possano apparire, è l’unico modo di incontrarla veramente; l’unica speranza per un cessate il fuoco che fa breccia nell’essenza più intima. Riporre i fucili, per quanto naturale o razionale o tradizionale che sia impugnarli identificando in qualcuno o qualcosa il nemico, è l’unica forma di incontro con se stessi e perciò con l’altro; giacché l’altro è in noi come il deserto nel sasso, la venatura della Galassia nel cuore. Interrompere il genocidio della verità è possibile, anche se costa ogni sale minerale costitutivo di ciò in cui ci riteniamo essere noi stessi, ma è una ritenzione idrica che merita ed esige una redenzione, e la chiede. A tutto ciò può condurre la Filosofia, ma solo se smettiamo di intenderla come un calderone di conoscenze che hanno altro fine oltre quello in sé, essa si convalida come la Regina che merita di essere servita; servita e riverita non per il fine di liberarci, ma per il fine in sé di liberare se stessa in noi, e quindi liberarci conseguentemente ed essere nella libertà, perché solo nella libertà si può essere ciò che si è; solo nella libertà la pianta sa librarsi verso il cielo e il cielo verso lo spazio e lo spazio verso qualsiasi cosa ci sia oltre, o che da sempre sia già in sé il suo Oltre. Torniamo ad osservare le stelle, quelle stesse stelle che hanno inciampato Talete nel pozzo e che si sono unite, in una pioggia millenaria, con le acque del nostro pianeta dando vita alla vita: dal brodo originario che hanno prodotto le reazioni chimiche delle meteore incontratesi con gli oceani sono venuti ad essere i primi batteri unicellulari, da questi ci siamo mossi fino a ciò che chiamiamo noi. Servire la Filosofia significa servire ogni causa sinceramente e seriamente, non più per fini miseri e minuscoli, inosservabili persino attraverso il microscopio di Dio, tanto insignificanti nella loro soggettività e individualità essi sono. Cessate il fuoco e accendete il sole: già arde splendidamente, chiede solo di essere riconosciuto in ciò che è. PERCHÉ LA FILOSOFIA SERVE? anche se siamo noi al suo servizio La questione è di carattere concettuale: possiamo infatti dire che il cuore e i polmoni servono la causa della condizione essenziale al mantenimento biologico in vita dell’essere umano o altri animali e che il cervello, come un direttore d’orchestra, serve gli altri organi nella loro esecuzione i quali, a loro volta, sono serviti dal rivestimento protettivo della pelle, a sua volta servita dai peli, dalle vesti. L’energia (non meno astrattamente definita) tiene insieme ogni materia evitandole di disperdersi o fondersi con altra materia e così l’appartamento serve a non disperdere l’uomo nell’ambiente se non in uno di tipo controllato e l’edificio a collocare l’appartamento e la strada l’edificio e la città la strada e così fino al pianeta che tutto ospita escludendo l’enormità inimmaginabile che si trova al di fuori di esso. OPPURE possiamo smettere questa concettualizzazione servile e considerare ogni cosa come fine a sé, ciascun battito del cuore come affermazione di quel battito e nessun altro, niente altro. In questo isolamento delle parti che comprendono il tutto (dalle più evidenti alle più impercettibili) sorgono due tesi che portano alla stessa conclusione: A) ciascun elemento è fine in sé, dunque non fine a niente di altro; B) ciascun elemento è fine al TUTTO, dunque non fine a niente di altro. Detto altrimenti: O ciascuna cosa serve solo ed esclusivamente la causa di se stessa OPPURE tutte le cose servono la causa di tutte/tutti/tutto. Entrambi i casi mostrano che né una singolarità né la TOTALITÀ possono servire una causa diversa da quelle appena descritte, che in fondo sono la stessa. Perciò nessun braccio articolandosi in movimento serve altra causa che quella di articolarsi in movimento o quella di aver articolato in movimento tutte le braccia, quelle passate e quelle future nonché le istantanee, in un solo sforzo: il nostro antenato articolando il braccio per cogliere un frutto ha garantito l’articolazione della vita in tutti quelli che ne sono seguiti, in tutti i frutti che sono stati mangiati. Solo per facilitare la comprensione del concetto ho indicato il nostro “antenato” come la causa prima, anche lui ovviamente ha avuto una precedenza e l’articolazione di questa ha consentito la sua come di tutte quelle derivate. Capire che DERIVAZIONE è un concetto che muove in avanti quanto indietro è cruciale: niente deriva da niente e tutto da tutto, il principio di Causalità, come aveva a suo tempo notato David Hume, non è né nell’effetto né nella causa, ma nel soggetto osservante effetti e/o cause assolutamente autonomi l’uno dall’altro e fini a se stessi. A cosa serve la Filosofia dunque, se abbiamo detto che ogni cosa serve esclusivamente a se stessa o a tutte le altre? Ebbene, che assurda possa sembrare questa affermazione dopo quanto detto, la Filosofia serve proprio a noi, non noi ma a-noi, ovvero a se stessa e a tutto, giacché non siamo esclusi dal tutto e, riflettendo a sufficienza, non siamo esclusi dall’essere sé dell’intimo senso di ciò che è Filosofia. Ci serve, ma solo perché siamo noi a servirla, e nel reciproco rapporto di necessità che si instaura (sebbene sia da sempre instaurato) siamo noi al servizio del suo servirci, rispettandone l’autonomia dubitando sempre concretamente che possa mai appartenerci qualsiasi cosa da essa ricaviamo o che ricaviamo da altro: solo così smettiamo di credere di sapere e incominciamo a sapere veramente. Ma sapere cosa? La Filosofia ci chiede di fare un passo in più, o un passo indietro, dicendoci: Checchessia ciò che tu credi, dubitane, checchessia ciò che tu dici, ripetilo – repetita iuvant. Esemplificando ecco come essa opera, se onestamente servita: L’uomo dice IO ma, dalle parole di Nietzsche, “chi è che dice IO quando dico IO?”; chi può dirsi essere IO e chi può dirne essere chi o cosa se non se stesso? Per questo motivo lo si deve lasciar parlare, smettendo di parlare per lui, di lui. È l’uomo, come suggeriva Heidegger, ad essere parlato dal Linguaggio, così la Filosofia si fa attraverso l’uomo e non l’uomo fa la Filosofia, esattamente come Dio si fa attraverso la religione e non il contrario. Non siamo al centro dell’attenzione ma è l’attenzione a condurci al baricentro di ciascuna cosa: spostiamoci e vediamo ciò che stiamo nascondendo, rifiutiamo concetti stereotipi, tradizionali, mettiamoli in scacco nella criticità della riflessione passiva e scopriamo cosa si cela dietro di essi: guardiamo oltre la siepe il buio accecante. A questo serve la Filosofia, per questo dobbiamo servirla. Tommaso Dati
Scrivono in PASSPARnous:
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Nicola Candreva, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Maurizio Oliviero, Francis kay, Bruna Monaco, Laureano Lopez Martinez, Nicola Bianchi, Caterina Perrone, Gloria Chesi, Laura Talia, Francesco Panizzo. |
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