Ci sono molti modi per iniziare a parlare di un autore e, in particolare, molti modi per iniziare a parlare di un autore come George Orwell. Se dovessi scegliere una sola parola per regalare una prima e fresca immagine dell’autore, penso che utilizzerei la parola: Fumatore. George Orwell era un fumatore. In Senza un Soldo a Parigi e Londra è inevitabile non imbattersi nel, così lo definisco: Fumo Orwelliano.
Questo è un simbolo di un qualcosa che va oltre a un vizio, oltre a un semplice sfizio da soddisfare. Non dico certo che dopo aver venduto tutti i pidocchiosi vestiti per pochi spiccioli, taluni spiccioli andassero a finire nelle tabaccherie piuttosto che ben spesi per del cibo che colmasse per un poco gli agghiaccianti morsi della fame; mi è impossibile non notare questo mito che si percorre durante tutto il libro e che sembra voler dire: è vero, stavamo male, ma avevamo ancora le sigarette. Quando si ritrova a Parigi a condividere una stanza in miseria con Boris (l’amico russo con cui passa molto tempo durante il periodo parigino) e si ritrovano entrambi senza lavoro e senza cibo, ed è il tabacco a consolarli: “I miei sessanta franchi durarono un paio di settimane. Avevo smesso di far finta di andare al ristorante e mangiavo nella mia stanza, l’uno seduto sul letto e l’altro sulla sedia. Boris metteva i suoi due franchi e io ne mettevo tre o quattro; compravamo pane, patate, latte e formaggio e facevamo la minestra sul mio fornello a spirito. Avevamo una casseruola, una scodella e un solo cucchiaio; tutti i giorni c’era un’amabile contesa su chi dovesse mangiare nella casseruola e chi nella scodella (la casseruola conteneva più cibo) e tutti i giorni, con mia rabbia segreta, Boris sembrava cedere per primo e si teneva la casseruola. Certe volte avevamo più pane la sera e certe volte no. La nostra biancheria era ormai lurida e il mio ultimo bagno risaliva a tre settimane prima; Boris, a quanto diceva, il bagno non lo faceva da mesi. Era il tabacco che rendeva tollerabile ogni cosa. Ne avevamo in quantità, perché un po’ di tempo prima Boris aveva incontrato un soldato (i soldati il tabacco l’hanno gratis) e aveva comprato venti o trenta pacchetti di sigarette a cinquanta centesimi l’uno”. Più avanti quando tornerà a Londra e finirà in un dormitorio con tanti vagabondi, molti di loro gli offriranno tabacco; mozziconi di sigarette, come tiene a precisare l’autore. Questa forma di solidarietà tra i vagabondi sicuramente ha affascinato l’autore socialista. Vagabondi che non hanno un lavoro, né una casa, né un soldo ma solo misera miseria, offrono i loro tristi mozziconi a un uomo, che condivide con loro oltre alle sudice lenzuola in un pidocchioso dormitorio, il loro incerto destino. Per non parlare di Paddy, il primo vero vagabondo che Orwell incontra a Londra e di cui descrive il seguente atteggiamento: “Pur vergognandosi moltissimo di essere un vagabondo, del vagabondo aveva assunto tutte le caratteristiche. Non staccava mai gli occhi dal marciapiede e non era possibile che gli sfuggisse un mozzicone – o anche una scatola di sigarette vuota, di cui usava la carta velina per arrotolarsi le sigarette. Quale altro avere può possedere un vagabondo se non le sigarette?” Il tabacco sparso nelle tasche dei vestiti, i mozziconi raccattati da terra; quella è la sua moneta di scambio, la sua paradossale speranza. In Omaggio alla Catalogna George Orwell si ritrova circa a metà del libro a Barcellona, in uno degli edifici occupati dal P.O.U.M. (Partito operaio d’unità marxista) del quale egli faceva parte durante la Guerra Civile in Spagna. In quel momento è in corso una piccola battaglia tra la Guardia Civile (Polizia) e la Classe Operaia in generale; senza scendere in particolari non pertinenti a ciò di cui voglio parlare. Egli dunque si ritrova in questo edificio del P.O.U.M. con molti altri miliziani, di fronte agli edifici occupati dalla Guardia Civile, e cerca di mettersi in contatto con sua moglie, la quale si trovava a Barcellona con lui. Non riesce ad avere comunicazioni con sua moglie, ma entra in contatto con John McNair, rappresentante dell’Independent Labour Party: “Mi disse (McNair a Orwell) che tutto andava bene, non c’erano morti e s’informò se non ci mancasse nulla al Comite Local (L’edificio occupato). Risposi che saremmo stati magnificamente se avessimo avuto sigarette. L’avevo detto per scherzo, ma non era passata mezz’ora che McNair comparve con due pacchetti di Lucky Strike. Aveva sfidato la tenebra delle vie, vagato fra le pattuglie anarchiche che, pistola puntata, lo avevano fermato due volte per chiedergli i documenti. Non posso dimenticare questa piccola prova d’eroismo. Facemmo una gran festa alle sigarette”. Più avanti nel libro Orwell resterà ferito gravemente alla gola e verrà trasportato all’ospedale di Sietamo dove, mentre un’infermiera caparbia cerca di fargli ingurgitare il pasto previsto dal regolamento dell’ospedale, egli chiederà una sigaretta. Subito dopo aggiunge che per sua sfortuna si trovavano ad affrontare uno di quei periodi di penuria di tabacco per cui non si trovava una sigaretta in tutta Sietamo. Appena una pagina dopo, mentre ancora si trova all’ospedale di Sietamo, dice: “Due miliziani in licenza, che avevo conosciuto nella mia prima settimana al fronte, vennero a trovare un amico ferito e mi riconobbero. Erano ragazzi diciottenni. Rimasero impacciati al mio capezzale, cercando di pensare a qualcosa da dirmi, e infine, come per mostrarmi ch’erano addolorati per la mia ferita, a un tratto si tolsero tutto il tabacco che avevano in tasca e me lo dettero scappando prima ch’io potessi restituirlo loro. Gesto tipicamente spagnolo! Scoprii poi che non c’era un briciolo di tabacco in tutta la città e che quella che mi avevano data era la razione di una settimana”. Per non parlare di tanti altri esempi che si susseguono durante il libro dove Orwell parla delle razioni di pane, acqua e tabacco che vengono date ai miliziani, e in particolar modo le volte in cui il tabacco abbonda, dove la voce narrante si fa più entusiasta o altre volte in cui il tabacco, invece, scarseggia, lasciando trapelare una voce narrante più cupa. Verso la fine del libro, Orwell, ormai fuggito dalla Spagna e ritrovatosi in una cittadina francese dice: “Vorrei sapere qual è il primo gesto appropriato che si deve fare quando si viene da un paese in guerra e si mette il piede in territorio di pace. Il mio fu di correre dal tabaccaio e comprare quanti sigari e sigarette potevano starmi nelle tasche”. In tempi di miseria e vagabondaggio come in Senza un Soldo a Parigi e Londra, oppure in tempi di guerra e orrori come in Omaggio alla Catalogna, questo Fumo Orwelliano non è altro che un simbolo di speranza, di solidarietà; quell’ultimo agio, quell’ultimo vizio che gente senza niente, si impedisce di non permettersi. Tommaso Dati
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