Codice ISSN: 2281-9223 Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Numero XII mese di Ottobre, 2013 - Anno II
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Perché si raccontano le fiabe ai bambini? E che messaggi si trasmettono con le fiabe. E poi: come leggere, come raccontare e perché raccontare una fiaba? Ebbene, per cercare di dare una risposta a queste domande occorre, anzitutto, notare come la fiaba metta in rilievo l’importanza del racconto. E là dove c’è racconto, là dove c’è parola, c’è anche transfert. Occorre allora domandarsi: che cosa avviene quando si instaura il transfert? In estrema sintesi: il transfert è l’itinerario della parola che trova la sua qualificazione nella specificità dell’esperienza e raccontare una fiaba è anzitutto un’esperienza.
E questa esperienza è un itinerario particolarissima perché permette di articolare, di identificare e di dissolvere tutte quelle fantasie che ruotano intorno all’abbandono, al fantasma di morte e al fantasma di assassinio. A questo punto ritengo essenziale specificare alcune cose intorno alla nozione di transfert che Sigmund Freud ha introdotto a proposito della psicanalisi. |
Subito è necessario dissipare l’idea che il transfert sia solo un rapporto esclusivo tra lo psicanalista e chi fa l’analisi o un mezzo di trasporto per veicolare un sapere da una persona a un’altra persona. Insomma il transfert non ha niente a che fare con il rapporto perché, per esempio, se si trasforma in rapporto sociale, o nella coppia maestro-allievo, allora il racconto, come l’analisi, si interrompe.
Infatti, quale bisogno ci sarebbe di riprodurre un’altra volta il rapporto sociale che esiste anche e malgrado le fiabe, le saghe e la psicanalisi? Sarebbe una sorta di doppione. Ebbene, credere di riprodurre una cosa che c’è già è una perdita di tempo perché una delle caratteristiche fondamentali del transfert è quella di svolgersi in modi, acquisizioni ed elaborazioni sempre nuove, inventive e inedite. In altri termini: lungo lo svolgimento del transfert, o lungo il racconto di una fiaba, o durante la realizzazione di un progetto di studio, di ricerca o di vita qualcosa accade per la prima volta e, accadendo per la prima volta, esige che la famiglia! la scuola e l’impresa lo qualifichino e lo valorizzino fino a farlo diventare capitale intellettuale. Questa è la questione assoluta perché, in definitiva, non c’è vita senza capitale intellettuale.
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Nella struttura artificiale del sapere il transfert, dunque, non ha nulla di naturale e nulla di convenzionale o di disciplinare perché riguarda l’indagine, la ricerca, il lavoro onirico, l’elaborazione fantasmatica, il lavoro del lutto la differenza e la variazione che ciascuno, liberamente articola intorno alla sua vita. Il transfert, quindi, è l’itinerario della parola originaria di cui nulla è dato sapere prima che avvenga. Ma questo è proprio ciò che l’antropologo, il sociologo, il sessuologo, lo psicologo e il pedagogo non mandano giù, presi come sono nel loro sapere garantito dal catalogo dei mali universali. A ben guardare le fiabe sono, quindi, un pretesto per attraversare, con la parola, tutte quelle credenze e fantasie che ruotano intorno all’infanticidio, al matricidio, alle streghe, al padre-orco, ai diavoli incubi e succubi e all’animalità della famiglia naturale tanto di moda oggi.
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Enrico Ratti
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