Rivista d’arte diretta da F. Panizzo e V. Vacca - Codice ISSN: 2281-9223 - Numero XII mese di Ottobre, 2013 - Anno II
Sezione Filosofia Alphaville Sezione diretta da Viviana Vacca e Silverio Zanobetti
. Per una Ecosofia del futuro
Il dodicesimo numero della rivista PASSPARnous presenta la “Sezione Filosofia”.
“Siamo sempre dentro a qualcosa che è un abbraccio avvolgente e dobbiamo usare la visione periferica.”
(L. Ghirri, Il profilo delle nuvole, Testi di G. Celati, Feltrinelli, Milano, 1989)
(L. Ghirri, Il profilo delle nuvole, Testi di G. Celati, Feltrinelli, Milano, 1989)
Incastonati ai luoghi e circondati dall’orizzonte, “noi non abbiamo mai, dinnanzi a noi, neppure per un giorno / lo spazio puro. Sempre c’è mondo” (Rilke). Nel riparo della casa o dell’essere CUSTODITI FUORI fra la cupola del cielo e un suolo accidentato, l’aperto rimane sempre al di là della soglia misteriosa del mondo.
Eppure quel punto sfavillante dell’Occidente (“un point de notre globe brillait d’un éclat aveuglant, comme si un foyer immense y eût été allumé” – C.H. Kane, L’aventure ambiguë, Julliard, Saint-Amand, 1961), forando con il vanishing point, o punto all’infinito, la tela (del quadro), ha finito per chiudere ogni paesaggio in un fondale. Lo sguardo si è segregato in un punto di vista, che spia. E i frammenti della realtà, richiamati dall’idea di ‘qualcosa da vedere’, avanzano e si offrono, come accecamenti. Nella loro pretesa quasi ossessiva di dire, ci danno da pensare e lo sguardo è portato via da ciò che vede.
La condizione che disegna tutta la modernità, esito della storia dell’Occidente, è ormai quella di una straordinaria efflorescenza di cose da vedere e, con forte propensione al possesso, da com-prendere. E, inarrestabile, la temperatura del visibile continua ad alzarsi a frenesia e a incendiare tutti i luoghi della Terra.
A differenza, nel pensiero della Tradizione, laddove l’occhio non è solo un passivo recettore della luce, ma extra-mette luce anch’egli, fascinando come la voce, di cui ha la stessa consistenza, coming out, c’è sempre qualcosa che s’allontana e si svuota a ogni passo, entro questo riparo che ci circonvolge e ci trattiene.
Eppure quel punto sfavillante dell’Occidente (“un point de notre globe brillait d’un éclat aveuglant, comme si un foyer immense y eût été allumé” – C.H. Kane, L’aventure ambiguë, Julliard, Saint-Amand, 1961), forando con il vanishing point, o punto all’infinito, la tela (del quadro), ha finito per chiudere ogni paesaggio in un fondale. Lo sguardo si è segregato in un punto di vista, che spia. E i frammenti della realtà, richiamati dall’idea di ‘qualcosa da vedere’, avanzano e si offrono, come accecamenti. Nella loro pretesa quasi ossessiva di dire, ci danno da pensare e lo sguardo è portato via da ciò che vede.
La condizione che disegna tutta la modernità, esito della storia dell’Occidente, è ormai quella di una straordinaria efflorescenza di cose da vedere e, con forte propensione al possesso, da com-prendere. E, inarrestabile, la temperatura del visibile continua ad alzarsi a frenesia e a incendiare tutti i luoghi della Terra.
A differenza, nel pensiero della Tradizione, laddove l’occhio non è solo un passivo recettore della luce, ma extra-mette luce anch’egli, fascinando come la voce, di cui ha la stessa consistenza, coming out, c’è sempre qualcosa che s’allontana e si svuota a ogni passo, entro questo riparo che ci circonvolge e ci trattiene.
Sottrarre alla visione l’idea di ‘qualcosa da vedere’ è l’operazione foto-logica di Mandione Laye Kebe: uno sguardo il suo, in cui non viene avanti nulla, nulla e nessuno a incontrarci. È lo sguardo di chi rinuncia a un proprio punto di vista, perché, come dice ‘l’émotioné’ M.L.K., “l’émotion n’appartient pas à l’auteur”, noi offriamo noi stessi a un sentire che è dislocato altrove.
È, per una volta ancora, lo sguardo di uomini che riposano in se stessi, che non diventano nulla, senza che d’essi si possa dire che non sono nulla. Educati a dislocare lo sguardo, discreti, a vigilare senza portar giudizio, indulgenti, a non tirare su figure dal fondo (per quel potere di disposizione sulle cose, che sembrano quasi stare in piedi solo per l’arrogante dominio dell’essere umano), questi uomini ancora galleggiano nella seducente visione atmosferica.
Gelosamente, in essi si conserva “l’essere-con” della ecosofia bantu, la condivisione d’uno scenario di pensiero di cui dà conto anche il genio della lingua wolof, parlata dal giovane artista senegalese, dove “il discorso si apre come un paesaggio” (Lakoff).
“Complexité de l’esprit” dei ‘neri d’ebano’, piuttosto che naïveté o spontaneità emotiva, come da più parti si continua ad asserire, in riferimento all’arte africana nel suo complesso. L’ellissi del visivo “sottacere” di Artfreeka (M.L.K.), con le cancellature stesse del riparo che ci custodisce fuori, lasciano che sia la bellezza vivente dell’uomo, il suo raccogliersi con l’altro, a farsi racconto, in una vertigine di scenari, come nel léeb principe dei wolof: Nit, nit ay garabam [L’uomo è l’albero (rimedio, medicamento) dell’uomo].
“Complexité de l’esprit” dei ‘neri d’ebano’, piuttosto che naïveté o spontaneità emotiva, come da più parti si continua ad asserire, in riferimento all’arte africana nel suo complesso. L’ellissi del visivo “sottacere” di Artfreeka (M.L.K.), con le cancellature stesse del riparo che ci custodisce fuori, lasciano che sia la bellezza vivente dell’uomo, il suo raccogliersi con l’altro, a farsi racconto, in una vertigine di scenari, come nel léeb principe dei wolof: Nit, nit ay garabam [L’uomo è l’albero (rimedio, medicamento) dell’uomo].
È l’uomo l’opera d’arte nel mondo culturale di Mandione Laye Kebe; Maa ngi fii rekk! [Eccomi qui soltanto!].
Attori che calcano la scena, morbidi nell’incedere, essenziali nelle immagini dei loro movimenti, padroni in ogni momento della voce e dello sguardo, guardano a quanti altri a loro si manifestano come persone in un rapporto di implicazione, e mai di contrapposizione.
Il noir et blanc fortemente contrastato consente al singolo volto di brillare e vibrare proprio per quella complessa connettività alla frontiera.
Attori che calcano la scena, morbidi nell’incedere, essenziali nelle immagini dei loro movimenti, padroni in ogni momento della voce e dello sguardo, guardano a quanti altri a loro si manifestano come persone in un rapporto di implicazione, e mai di contrapposizione.
Il noir et blanc fortemente contrastato consente al singolo volto di brillare e vibrare proprio per quella complessa connettività alla frontiera.
Natalia Anzalone
Le Rubriche di Alphaville
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Previsto per il mese di ottobre..
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Dislocare lo sguardo,
aprire il paesaggio Articolo di Natalia Anzalone Democrito, o
del filosofo che ride Articolo di Marco Bachini |
Al borderline
della profilazione Articolo di Rosella Corda |
Scrivono nella rivista: .
Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faron, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Francesco Panizzo.
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