TOMMASO MONZA
COMPAGNIA NATISCALZI: Lo Schiaccianoci
Articolo di Enrico Pastore
Ieri sera alle Lavanderie a Vapore di Collegno è andato in scena per Toghether we dance Lo schiaccianoci di Tommaso Monza e Claudia Rossi Valli fondatori della compagnia Natiscalzi.
Tommaso Monza e Claudia Rossi Valli si mettono in relazione con un classico del balletto ibridandolo con il linguaggio del contemporaneo. Lo schiaccianoci viene evocato, citato, trasformato, rielaborato per e con il presente. La storia si mescola con il ricordo d’infanzia, con il Natale passato per rilanciarsi ed essere materiale per il presente. E la spinta avviene tramite il desiderio di diventare adulti che si confronta con l’oggi in cui l’adulto è diventato qualcosa di diverso dal progetto infantile. Questo gioco tra passato e presente mosso dal ricordo e dal desiderio si manifesta attraverso un dispiego ampio di linguaggi: il video, il circo, la danza, il teatro. Un caleidoscopio fin troppo ricco, addirittura bizantino ed esorbitante. L’operazione guidata e diretta da Tommaso Monza e Claudia Rossi Valli tende anche a implementare tecniche di audience engagement: nel progetto vengono coinvolte le scuole di danza del territorio e per una volta si assiste a un vero e proprio balletto di massa con grandi movimenti d’insieme. Questo aspetto però finisce per fagocitare l’operazione. Se la drammaturgia regge fino a metà dell’opera, cioè fino a quando il coro dei bambini fa il suo ingresso in scena, la seconda parte tende a essere niente altro che un profluvio di numeri d’insieme in cui tutti hanno la loro piccola parte. La crescita debordante del materiale travalica la sua necessità. E quindi rispetto a questo tema ora molto pressante di recupero di affezione da parte del pubblico se non addirittura la creazione di uno nuovo e mai avvicinato, le tecniche e i metodi legati alla creazione si prospettano come armi a doppio taglio. Se da una parte coinvolgere il tessuto della comunità in cui si opera diviene necessario resta il rischio di farsi prendere la mano e soggiacere ai meccanismi di engagement. Il caso de Lo Schiaccianoci di Tommaso Monza, è indubbiamente interessante anche se necessita di una revisione delle priorità. Nella seconda parte dell’opera si è rasentato fin troppo spesso la versione di un saggio di fine anno in cui tutti partecipano al di là della reale necessità di questa presenza. L’opera e le sue esigenze restano l’ago della bussola attraverso cui orientare il lavoro di creazione in cui possono indubbiamente rientrare le tecniche e le modalità di engagement ma nel rispetto del lavoro artistico che non deve esserne fagocitato. Esperimento dunque interessante, che si affianca ad altri consimili come quello messo in atto dal progetto Teatro Agorà promosso da Elena Di Gioia nel bolognese, così come analoghi del festival di Vignale Monferrato promosso sempre dalla Fondazione Piemonte Dal Vivo. Occorre proseguire negli esperimenti, riorientarli e ricalibrarli in modo da trovare un giusto equilibrio in cui l’opera, le funzioni della scena, le sue tecniche e i suoi materiali possano coagularsi con i bisogni e le necessità della comunità che la ospita. Enrico Pastore
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